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Canto XXV
Ora era onde ‘l salir non volea storpio;
ché ‘l sole avea il cerchio di merigge
lasciato al Tauro e la notte a lo Scorpio: 3
Era [un’] ora [così tarda] per cui la salita non ammetteva indugio; perchè il sole aveva lasciato il meridiano al[la costellazione del] Toro e la notte allo (=a quella dello) Scorpione (=erano le due del pomeriggio): 3
per che, come fa l’uom che non s’affigge
ma vassi a la via sua, che che li appaia,
se di bisogno stimolo il trafigge, 6
per la qual cosa, come fa colui che non si ferma ma se ne va per la sua strada, qualunque cosa gli appaia, se lo punge [lo] stimolo de[l] bisogno, 6
così intrammo noi per la callaia,
uno innanzi altro prendendo la scala
che per artezza i salitor dispaia. 9
così noi entrammo per lo stretto passaggio, inoltrandoci uno davanti [all’] altro su per la scala che, per [la sua] strettezza, separa coloro che [la] salgono. 9
E quale il cicognin che leva l’ala
per voglia di volare, e non s’attenta
d’abbandonar lo nido, e giù la cala; 12
E come il cicognino che alza le ali per desiderio di volare, e non osa abbandonare il nido, e [così] le abbassa; 12
tal era io con voglia accesa e spenta
di dimandar, venendo infino a l’atto
che fa colui ch’a dicer s’argomenta. 15
così facevo io con [un] desiderio di domandare ora acceso ora spento (=ora acceso dal bisogno di sapere ora spento dal timore di importunare), giungendo fino all’atto che fa colui che si accinge a parlare (=ad aprire la bocca). 15
Non lasciò, per l’andar che fosse ratto,
lo dolce padre mio, ma disse: «Scocca
l’arco del dir, che ‘nfino al ferro hai tratto». 18
Per quanto l’andatura fosse veloce, il mio dolce padre non tralasciò [di parlare], ma disse: «Distendi l’arco (=fai partire la freccia) delle [tue] parole, [arco] che hai teso fino al [la punta di] ferro [della freccia] (=lascia uscire le parole che sono già arrivate alle labbra)». 18
Allor sicuramente apri’ la bocca
e cominciai: «Come si può far magro
là dove l’uopo di nodrir non tocca?». 21
Allora con sicurezza aprii la bocca e cominciai: «Come si può dimagrire là (=in quei corpi) dove non si fa sentire il bisogno di nutrir[si]?». 21
«Se t’ammentassi come Meleagro
si consumò al consumar d’un stizzo,
non fora», disse, «a te questo sì agro; 24
Disse: «Se ti ricordassi come Meleagro si consumò col consumarsi di un tizzone [ardente], questo [problema] non ti sarebbe così ostico; 24
e se pensassi come, al vostro guizzo,
guizza dentro a lo specchio vostra image,
ciò che par duro ti parrebbe vizzo. 27
e se pensassi come, a un vostro guizzo (=a un vostro movimento rapido), guizza dentro allo specchio [la] vostra immagine, ciò che sembra difficile ti sembrerebbe facile. 27
Ma perché dentro a tuo voler t’adage,
ecco qui Stazio; e io lui chiamo e prego
che sia or sanator de le tue piage». 30
Ma affinchè tu ti acquieti in riferimento a[l] tuo desiderio (=rispetto a ciò che vuoi conoscere), ecco qui Stazio; e io lo chiamo e [lo] prego che ora sia guaritore delle tue ferite (=dei tuoi tormentosi dubbi)». 30
«Se la veduta etterna li dislego»,
rispuose Stazio, «là dove tu sie,
discolpi me non potert’io far nego». 33
Stazio rispose: «Se gli spiego [io] il [mistero del] pensiero eterno quando ci sei tu, mi discolpi [il fatto di] non poterti io dire di no». 33
Poi cominciò: «Se le parole mie,
figlio, la mente tua guarda e riceve,
lume ti fiero al come che tu die. 36
Poi cominciò: «Figlio, se la tua mente custodisce e accoglie (=accoglie e custodisce) le mie parole, [esse] saranno per te [una] luce riguardo al come che tu chiedi (=chiariranno il tuo dubbio). 36
Sangue perfetto, che poi non si beve
da l’assetate vene, e si rimane
quasi alimento che di mensa leve, 39
[Quel] sangue perfetto (=quello destinato al concepimento: il seme umano), che poi non è assorbito dalle vene assetate, e resta [in sovrappiù] come [un] alimento [non consumato] che si porta via da[lla] mensa, 39
prende nel core a tutte membra umane
virtute informativa, come quello
ch’a farsi quelle per le vene vane. 42
acquista nel cuore [una] virtù per dar forma a tutte [le] membra umane (=le membra di un nuovo essere), come quell’ [altro] che scorre attraverso le vene per trasformarsi in esse (=per nutrire le membra già formate del corpo). 42
Ancor digesto, scende ov’è più bello
tacer che dire; e quindi poscia geme
sovr’altrui sangue in natural vasello. 45
Ulteriormente purificato, [esso] scende dove è più conveniente tacere piuttosto che nominare (=negli organi genitali maschili, diventando sperma); e di qui poi stilla su[l] sangue altrui (=femminile) ne[l] ricettacolo naturale (=nell’utero). 45
Ivi s’accoglie l’uno e l’altro insieme,
l’un disposto a patire, e l’altro a fare
per lo perfetto loco onde si preme; 48
Là si uniscono insieme l’uno e l’altro (=il seme maschile e il sangue femminile), l’uno (=quello femminile) disposto a subire [l’azione fecondatrice], e l’altro (=il seme maschile) ad agire grazie al luogo perfetto (=al cuore) da cui è spremuto; 48
e, giunto lui, comincia ad operare
coagulando prima, e poi avviva
ciò che per sua matera fé constare. 51
e [ il seme maschile], congiunto [a] quello (=al sangue femminile), comincia a operare dapprima formando un coagulo [dei due sangui] (=l’embrione), e poi dà vita a ciò che fatto rapprendere come sua materia (=alla materia che ha reso consistente coagulandola). 51
Anima fatta la virtute attiva
qual d’una pianta, in tanto differente,
che questa è in via e quella è già a riva, 54
La virtù attiva [del seme] diventata anima [vegetativa] come [quella] di una pianta, soltanto diversa [in ciò], che questa [del feto] è in via [di sviluppo] e quella [della pianta] è già compiuta, 54
tanto ovra poi, che già si move e sente,
come spungo marino; e indi imprende
ad organar le posse ond’è semente. 57
poi opera tanto, che già si muove e sente (=diventa anima sensitiva), come [una] spugna marina; e di qui comincia a formare le potenze (=le facoltà e gli organi sensori) di cui è origine. 57
Or si spiega, figliuolo, or si distende
la virtù ch’è dal cor del generante,
dove natura a tutte membra intende. 60
A questo punto, figliolo, la virtù (=la virtù attiva organizzatrice di tutte le membra), che deriva dal cuore di chi genera (=del padre) si svolge e si dispiega [nel feto], dove [la] natura attende a[l compimento di] tutte le membra. 60
Ma come d’animal divegna fante,
non vedi tu ancor: quest’è tal punto,
che più savio di te fé già errante, 63
Ma tu non vedi ancora come [esso] da animale diventi [un] essere parlante (=un uomo): [e] questo è [un] punto tale (=talmente difficile), che ha già fatto sbagliare [uno] più dotto di te (=Averroè), 63
sì che per sua dottrina fé disgiunto
da l’anima il possibile intelletto,
perché da lui non vide organo assunto. 66
cosicchè ne[lla] sua dottrina considerò l’intelletto possibile (=l’intelletto che presiede all’intelligenza) separato dall’anima, perchè non vide [alcun] organo assunto da esso (=specifico per l’intelletto). 66
Apri a la verità che viene il petto;
e sappi che, sì tosto come al feto
l’articular del cerebro è perfetto, 69
Apri la mente alla verità che arriva; e sappi che, appena nel feto si è compiuta la formazione del cervello, 69
lo motor primo a lui si volge lieto
sovra tant’arte di natura, e spira
spirito novo, di vertù repleto, 72
il primo motore (=Dio) si rivolge lieto a lui per [una] così bella opera di natura, e [vi] infonde [uno] spirito nuovo, pieno di virtù (=l’anima razionale), 72
che ciò che trova attivo quivi, tira
in sua sustanzia, e fassi un’alma sola,
che vive e sente e sé in sé rigira. 75
che assimila a[lla] sua [stessa] sostanza ciò che qui (=nel feto) trova attivo (=l’anima vegetativa e quella sensitiva), e si fa una sola anima, che vive (=l’anima vegetativa) e sente (=l’anima sensitiva) e riflette su di sè (=l’anima razionale). 75
E perché meno ammiri la parola,
guarda il calor del sole che si fa vino,
giunto a l’omor che de la vite cola. 78
E perchè [tu] ti meravigli meno delle [mie] parole, guarda il calore del sole che diventa vino, quando si congiunge alla linfa che cola dalla vite [nell’uva]. 78
Quando Làchesis non ha più del lino,
solvesi da la carne, e in virtute
ne porta seco e l’umano e ‘l divino: 81
Quando Lachesi non ha più filo [da tessere] (=alla fine della vita), [l’anima] si scioglie dalla carne (=dal corpo mortale), e allo stato potenziale porta con sè sia le facoltà umane (=le qualità che fanno parte del corpo: la parte vegetativa e quella sensitiva) che la facoltà divina (=la parte razionale che discende direttamente da Dio): 81
l’altre potenze tutte quante mute;
memoria, intelligenza e volontade
in atto molto più che prima agute. 84
le altre potenze (=le facoltà umane: vegetativa e sensitiva) [restano] tutte quante inoperose; [invece la] memoria, [l’] intelligenza e [la] volontà [sono] in atto molto più acute di prima. 84
Sanza restarsi per sé stessa cade
mirabilmente a l’una de le rive;
quivi conosce prima le sue strade. 87
Senza fermarsi, [l’anima] da se stessa (=spinta dal proprio intimo impulso) cade a una delle [due] rive (=a quella dell’Inferno o a quella del Purgatorio); qui conosce per la prima volta quale [delle due] strade [è] la sua (=la sua sorte per l’eternità). 87
Tosto che loco lì la circunscrive,
la virtù formativa raggia intorno
così e quanto ne le membra vive. 90
Appena [uno] spazio [aereo] la racchiude lì, la virtù informativa irraggia intorno (=opera sull’aria circostante) come e quanto nel corpo vivo. 90
E come l’aere, quand’è ben piorno,
per l’altrui raggio che ‘n sé si reflette,
di diversi color diventa addorno; 93
E come l’aria, quando è molto piovosa (=pregna di umidità) diventa adorna di diversi colori (=forma l’arcobaleno), per [effetto de]i raggi altrui (=del sole) che si riflettono in lei; 93
così l’aere vicin quivi si mette
in quella forma ch’è in lui suggella
virtualmente l’alma che ristette; 96
così l’aria lì vicina (=che circonda l’anima) si dispone in quella forma che l’anima, che si è fermata, imprime in essa potenzialmente (=dà alla forma aerea la virtù potenziale di quella del corpo reale); 96
e simigliante poi a la fiammella
che segue il foco là ‘vunque si muta,
segue lo spirto sua forma novella. 99
e poi simile alla fiammella che segue il fuoco ovunque [esso] si sposti, [la] sua nuova forma (=il nuovo corpo aereo) segue l’anima. 99
Però che quindi ha poscia sua paruta,
è chiamata ombra; e quindi organa poi
ciascun sentire infino a la veduta. 102
Poichè poi [l’anima] prende [la] sua parvenza [la nuova forma] da essa (=dalla nuova forma: dal nuovo corpo aereo), è chiamata ombra; e da essa (=dalla nuova forma o corpo aereo) poi forma [gli organi di] ogni senso fino alla vista. 102
Quindi parliamo e quindi ridiam noi;
quindi facciam le lagrime e ‘ sospiri
che per lo monte aver sentiti puoi. 105
Per mezzo di esso (=del corpo aereo) noi parliamo e per mezzo di esso ridiamo; per mezzo di esso emettiamo le lacrime e i sospiri che puoi aver sentito per il monte. 105
Secondo che ci affiggono i disiri
e li altri affetti, l’ombra si figura;
e quest’è la cagion di che tu miri». 108
L’anima (=il corpo aereo) si configura, a seconda di come ci colpiscono i desideri e gli altri sentimenti; e questa è la ragione [del fatto] di cui tu ti meravigli (=la ragione del dimagrimento)». 108
E già venuto a l’ultima tortura
s’era per noi, e vòlto a la man destra,
ed eravamo attenti ad altra cura. 111
E già eravamo giunti all’ultima penitenza, e avevamo svoltato a destra, ed eravamo assorti in [un] altro interesse. 111
Quivi la ripa fiamma in fuor balestra,
e la cornice spira fiato in suso
che la reflette e via da lei sequestra; 114
Qui la parete [del monte] scaglia fiamme verso l’esterno, ma la cornice soffia [un] vento verso l’alto che le piega all’indietro e le allontana da lei; 114
ond’ir ne convenia dal lato schiuso
ad uno ad uno; e io temea ‘l foco
quinci, e quindi temeva cader giuso. 117
per cui dovevamo procedere dal lato aperto (=senza riparo) uno alla volta; e io da una parte (=da sinistra) temevo il fuoco, e dall’altra (=da destra) temevo [di] cadere giù. 117
Lo duca mio dicea: «Per questo loco
si vuol tenere a li occhi stretto il freno,
però ch’errar potrebbesi per poco». 120
La mia guida diceva: «Attraverso questo luogo bisogna tenere a freno gli occhi (=non voltarli in giro), perchè si potrebbe sbagliare per un nonnulla». 120
‘Summae Deus clementiae’ nel seno
al grande ardore allora udi’ cantando,
che di volger mi fé caler non meno; 123
Allora udii [spiriti] che cantavano, pur stando in mezzo al grande fuoco, ‘Summae Deus clementiae’ (=‘Dio di somma clemenza’) la qual cosa mi fece desiderare di volger[mi] non meno [che di tenere a freno gli occhi]. 123
e vidi spirti per la fiamma andando;
per ch’io guardava a loro e a’ miei passi
compartendo la vista a quando a quando. 126
e vidi anime che camminavano in mezzo alle fiamme; per cui io guardavo a loro e ai miei passi alternando lo sguardo di volta in volta [tra gli uni e gli altri]. 126
Appresso il fine ch’a quell’inno fassi,
gridavano alto: ‘Virum non cognosco’;
indi ricominciavan l’inno bassi. 129
Dopo la fine che si pone a quell’inno (=finito l’inno), gridavano forte: ‘Virum non cognosco’ (=‘Non conosco uomo’); poi ricominciavano l’inno a voce bassa. 129
Finitolo, anco gridavano: «Al bosco
si tenne Diana, ed Elice caccionne
che di Venere avea sentito il tòsco». 132
Finitolo, gridavano ancora: «Diana rimase nel bosco, e ne cacciò Elice che aveva sentito il veleno di Venere (=la lussuria)». 132
Indi al cantar tornavano; indi donne
gridavano e mariti che fuor casti
come virtute e matrimonio imponne. 135
Tornavano poi a cantare; poi gridavano [esempi di] mogli e mariti che furono casti come [la] virtù e [il] matrimonio impongono. 135
E questo modo credo che lor basti
per tutto il tempo che ‘l foco li abbruscia:
con tal cura conviene e con tai pasti 138
che la piaga da sezzo si ricuscia. 139
E credo che questa modalità duri per loro (=che sia da loro osservata) per tutto il tempo che il fuoco li brucia; è necessario che la piaga alla fine si rimargini con questa cura e con questi nutrimenti [spirituali]. 138-139
🖥️ Parafrasi affiancata
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Canto XXV
Ora era onde ‘l salir non volea storpio;
ché ‘l sole avea il cerchio di merigge
lasciato al Tauro e la notte a lo Scorpio: 3
per che, come fa l’uom che non s’affigge
ma vassi a la via sua, che che li appaia,
se di bisogno stimolo il trafigge, 6
così intrammo noi per la callaia,
uno innanzi altro prendendo la scala
che per artezza i salitor dispaia. 9
E quale il cicognin che leva l’ala
per voglia di volare, e non s’attenta
d’abbandonar lo nido, e giù la cala; 12
tal era io con voglia accesa e spenta
di dimandar, venendo infino a l’atto
che fa colui ch’a dicer s’argomenta. 15
Non lasciò, per l’andar che fosse ratto,
lo dolce padre mio, ma disse: «Scocca
l’arco del dir, che ‘nfino al ferro hai tratto». 18
Allor sicuramente apri’ la bocca
e cominciai: «Come si può far magro
là dove l’uopo di nodrir non tocca?». 21
«Se t’ammentassi come Meleagro
si consumò al consumar d’un stizzo,
non fora», disse, «a te questo sì agro; 24
e se pensassi come, al vostro guizzo,
guizza dentro a lo specchio vostra image,
ciò che par duro ti parrebbe vizzo. 27
Ma perché dentro a tuo voler t’adage,
ecco qui Stazio; e io lui chiamo e prego
che sia or sanator de le tue piage». 30
«Se la veduta etterna li dislego»,
rispuose Stazio, «là dove tu sie,
discolpi me non potert’io far nego». 33
Poi cominciò: «Se le parole mie,
figlio, la mente tua guarda e riceve,
lume ti fiero al come che tu die. 36
Sangue perfetto, che poi non si beve
da l’assetate vene, e si rimane
quasi alimento che di mensa leve, 39
prende nel core a tutte membra umane
virtute informativa, come quello
ch’a farsi quelle per le vene vane. 42
Ancor digesto, scende ov’è più bello
tacer che dire; e quindi poscia geme
sovr’altrui sangue in natural vasello. 45
Ivi s’accoglie l’uno e l’altro insieme,
l’un disposto a patire, e l’altro a fare
per lo perfetto loco onde si preme; 48
e, giunto lui, comincia ad operare
coagulando prima, e poi avviva
ciò che per sua matera fé constare. 51
Anima fatta la virtute attiva
qual d’una pianta, in tanto differente,
che questa è in via e quella è già a riva, 54
tanto ovra poi, che già si move e sente,
come spungo marino; e indi imprende
ad organar le posse ond’è semente. 57
Or si spiega, figliuolo, or si distende
la virtù ch’è dal cor del generante,
dove natura a tutte membra intende. 60
Ma come d’animal divegna fante,
non vedi tu ancor: quest’è tal punto,
che più savio di te fé già errante, 63
sì che per sua dottrina fé disgiunto
da l’anima il possibile intelletto,
perché da lui non vide organo assunto. 66
Apri a la verità che viene il petto;
e sappi che, sì tosto come al feto
l’articular del cerebro è perfetto, 69
lo motor primo a lui si volge lieto
sovra tant’arte di natura, e spira
spirito novo, di vertù repleto, 72
che ciò che trova attivo quivi, tira
in sua sustanzia, e fassi un’alma sola,
che vive e sente e sé in sé rigira. 75
E perché meno ammiri la parola,
guarda il calor del sole che si fa vino,
giunto a l’omor che de la vite cola. 78
Quando Làchesis non ha più del lino,
solvesi da la carne, e in virtute
ne porta seco e l’umano e ‘l divino: 81
l’altre potenze tutte quante mute;
memoria, intelligenza e volontade
in atto molto più che prima agute. 84
Sanza restarsi per sé stessa cade
mirabilmente a l’una de le rive;
quivi conosce prima le sue strade. 87
Tosto che loco lì la circunscrive,
la virtù formativa raggia intorno
così e quanto ne le membra vive. 90
E come l’aere, quand’è ben piorno,
per l’altrui raggio che ‘n sé si reflette,
di diversi color diventa addorno; 93
così l’aere vicin quivi si mette
in quella forma ch’è in lui suggella
virtualmente l’alma che ristette; 96
e simigliante poi a la fiammella
che segue il foco là ‘vunque si muta,
segue lo spirto sua forma novella. 99
Però che quindi ha poscia sua paruta,
è chiamata ombra; e quindi organa poi
ciascun sentire infino a la veduta. 102
Quindi parliamo e quindi ridiam noi;
quindi facciam le lagrime e ‘ sospiri
che per lo monte aver sentiti puoi. 105
Secondo che ci affiggono i disiri
e li altri affetti, l’ombra si figura;
e quest’è la cagion di che tu miri». 108
E già venuto a l’ultima tortura
s’era per noi, e vòlto a la man destra,
ed eravamo attenti ad altra cura. 111
Quivi la ripa fiamma in fuor balestra,
e la cornice spira fiato in suso
che la reflette e via da lei sequestra; 114
ond’ir ne convenia dal lato schiuso
ad uno ad uno; e io temea ‘l foco
quinci, e quindi temeva cader giuso. 117
Lo duca mio dicea: «Per questo loco
si vuol tenere a li occhi stretto il freno,
però ch’errar potrebbesi per poco». 120
‘Summae Deus clementiae’ nel seno
al grande ardore allora udi’ cantando,
che di volger mi fé caler non meno; 123
e vidi spirti per la fiamma andando;
per ch’io guardava a loro e a’ miei passi
compartendo la vista a quando a quando. 126
Appresso il fine ch’a quell’inno fassi,
gridavano alto: ‘Virum non cognosco’;
indi ricominciavan l’inno bassi. 129
Finitolo, anco gridavano: «Al bosco
si tenne Diana, ed Elice caccionne
che di Venere avea sentito il tòsco». 132
Indi al cantar tornavano; indi donne
gridavano e mariti che fuor casti
come virtute e matrimonio imponne. 135
E questo modo credo che lor basti
per tutto il tempo che ‘l foco li abbruscia:
con tal cura conviene e con tai pasti 138
che la piaga da sezzo si ricuscia. 139
Canto XXV
Era [un’] ora [così tarda] per cui la salita non ammetteva indugio; perchè il sole aveva lasciato il meridiano al[la costellazione del] Toro e la notte allo (=a quella dello) Scorpione (=erano le due del pomeriggio): 3
per la qual cosa, come fa colui che non si ferma ma se ne va per la sua strada, qualunque cosa gli appaia, se lo punge [lo] stimolo de[l] bisogno, 6
così noi entrammo per lo stretto passaggio, inoltrandoci uno davanti [all’] altro su per la scala che, per [la sua] strettezza, separa coloro che [la] salgono. 9
E come il cicognino che alza le ali per desiderio di volare, e non osa abbandonare il nido, e [così] le abbassa; 12
così facevo io con [un] desiderio di domandare ora acceso ora spento (=ora acceso dal bisogno di sapere ora spento dal timore di importunare), giungendo fino all’atto che fa colui che si accinge a parlare (=ad aprire la bocca). 15
Per quanto l’andatura fosse veloce, il mio dolce padre non tralasciò [di parlare], ma disse: «Distendi l’arco (=fai partire la freccia) delle [tue] parole, [arco] che hai teso fino al [la punta di] ferro [della freccia] (=lascia uscire le parole che sono già arrivate alle labbra)». 18
Allora con sicurezza aprii la bocca e cominciai: «Come si può dimagrire là (=in quei corpi) dove non si fa sentire il bisogno di nutrir[si]?». 21
Disse: «Se ti ricordassi come Meleagro si consumò col consumarsi di un tizzone [ardente], questo [problema] non ti sarebbe così ostico; 24
e se pensassi come, a un vostro guizzo (=a un vostro movimento rapido), guizza dentro allo specchio [la] vostra immagine, ciò che sembra difficile ti sembrerebbe facile. 27
Ma affinchè tu ti acquieti in riferimento a[l] tuo desiderio (=rispetto a ciò che vuoi conoscere), ecco qui Stazio; e io lo chiamo e [lo] prego che ora sia guaritore delle tue ferite (=dei tuoi tormentosi dubbi)». 30
Stazio rispose: «Se gli spiego [io] il [mistero del] pensiero eterno quando ci sei tu, mi discolpi [il fatto di] non poterti io dire di no». 33
Poi cominciò: «Figlio, se la tua mente custodisce e accoglie (=accoglie e custodisce) le mie parole, [esse] saranno per te [una] luce riguardo al come che tu chiedi (=chiariranno il tuo dubbio). 36
[Quel] sangue perfetto (=quello destinato al concepimento: il seme umano), che poi non è assorbito dalle vene assetate, e resta [in sovrappiù] come [un] alimento [non consumato] che si porta via da[lla] mensa, 39
acquista nel cuore [una] virtù per dar forma a tutte [le] membra umane (=le membra di un nuovo essere), come quell’ [altro] che scorre attraverso le vene per trasformarsi in esse (=per nutrire le membra già formate del corpo). 42
Ulteriormente purificato, [esso] scende dove è più conveniente tacere piuttosto che nominare (=negli organi genitali maschili, diventando sperma); e di qui poi stilla su[l] sangue altrui (=femminile) ne[l] ricettacolo naturale (=nell’utero). 45
Là si uniscono insieme l’uno e l’altro (=il seme maschile e il sangue femminile), l’uno (=quello femminile) disposto a subire [l’azione fecondatrice], e l’altro (=il seme maschile) ad agire grazie al luogo perfetto (=al cuore) da cui è spremuto; 48
e [ il seme maschile], congiunto [a] quello (=al sangue femminile), comincia a operare dapprima formando un coagulo [dei due sangui] (=l’embrione), e poi dà vita a ciò che fatto rapprendere come sua materia (=alla materia che ha reso consistente coagulandola). 51
La virtù attiva [del seme] diventata anima [vegetativa] come [quella] di una pianta, soltanto diversa [in ciò], che questa [del feto] è in via [di sviluppo] e quella [della pianta] è già compiuta, 54
poi opera tanto, che già si muove e sente (=diventa anima sensitiva), come [una] spugna marina; e di qui comincia a formare le potenze (=le facoltà e gli organi sensori) di cui è origine. 57
A questo punto, figliolo, la virtù (=la virtù attiva organizzatrice di tutte le membra), che deriva dal cuore di chi genera (=del padre) si svolge e si dispiega [nel feto], dove [la] natura attende a[l compimento di] tutte le membra. 60
Ma tu non vedi ancora come [esso] da animale diventi [un] essere parlante (=un uomo): [e] questo è [un] punto tale (=talmente difficile), che ha già fatto sbagliare [uno] più dotto di te (=Averroè), 63
cosicchè ne[lla] sua dottrina considerò l’intelletto possibile (=l’intelletto che presiede all’intelligenza) separato dall’anima, perchè non vide [alcun] organo assunto da esso (=specifico per l’intelletto). 66
Apri la mente alla verità che arriva; e sappi che, appena nel feto si è compiuta la formazione del cervello, 69
il primo motore (=Dio) si rivolge lieto a lui per [una] così bella opera di natura, e [vi] infonde [uno] spirito nuovo, pieno di virtù (=l’anima razionale), 72
che assimila a[lla] sua [stessa] sostanza ciò che qui (=nel feto) trova attivo (=l’anima vegetativa e quella sensitiva), e si fa una sola anima, che vive (=l’anima vegetativa) e sente (=l’anima sensitiva) e riflette su di sè (=l’anima razionale). 75
E perchè [tu] ti meravigli meno delle [mie] parole, guarda il calore del sole che diventa vino, quando si congiunge alla linfa che cola dalla vite [nell’uva]. 78
Quando Lachesi non ha più filo [da tessere] (=alla fine della vita), [l’anima] si scioglie dalla carne (=dal corpo mortale), e allo stato potenziale porta con sè sia le facoltà umane (=le qualità che fanno parte del corpo: la parte vegetativa e quella sensitiva) che la facoltà divina (=la parte razionale che discende direttamente da Dio): 81
le altre potenze (=le facoltà umane: vegetativa e sensitiva) [restano] tutte quante inoperose; [invece la] memoria, [l’] intelligenza e [la] volontà [sono] in atto molto più acute di prima. 84
Senza fermarsi, [l’anima] da se stessa (=spinta dal proprio intimo impulso) cade a una delle [due] rive (=a quella dell’Inferno o a quella del Purgatorio); qui conosce per la prima volta quale [delle due] strade [è] la sua (=la sua sorte per l’eternità). 87
Appena [uno] spazio [aereo] la racchiude lì, la virtù informativa irraggia intorno (=opera sull’aria circostante) come e quanto nel corpo vivo. 90
E come l’aria, quando è molto piovosa (=pregna di umidità) diventa adorna di diversi colori (=forma l’arcobaleno), per [effetto de]i raggi altrui (=del sole) che si riflettono in lei; 93
così l’aria lì vicina (=che circonda l’anima) si dispone in quella forma che l’anima, che si è fermata, imprime in essa potenzialmente (=dà alla forma aerea la virtù potenziale di quella del corpo reale); 96
e poi simile alla fiammella che segue il fuoco ovunque [esso] si sposti, [la] sua nuova forma (=il nuovo corpo aereo) segue l’anima. 99
Poichè poi [l’anima] prende [la] sua parvenza [la nuova forma] da essa (=dalla nuova forma: dal nuovo corpo aereo), è chiamata ombra; e da essa (=dalla nuova forma o corpo aereo) poi forma [gli organi di] ogni senso fino alla vista. 102
Per mezzo di esso (=del corpo aereo) noi parliamo e per mezzo di esso ridiamo; per mezzo di esso emettiamo le lacrime e i sospiri che puoi aver sentito per il monte. 105
L’anima (=il corpo aereo) si configura, a seconda di come ci colpiscono i desideri e gli altri sentimenti; e questa è la ragione [del fatto] di cui tu ti meravigli (=la ragione del dimagrimento)». 108
E già eravamo giunti all’ultima penitenza, e avevamo svoltato a destra, ed eravamo assorti in [un] altro interesse. 111
Qui la parete [del monte] scaglia fiamme verso l’esterno, ma la cornice soffia [un] vento verso l’alto che le piega all’indietro e le allontana da lei; 114
per cui dovevamo procedere dal lato aperto (=senza riparo) uno alla volta; e io da una parte (=da sinistra) temevo il fuoco, e dall’altra (=da destra) temevo [di] cadere giù. 117
La mia guida diceva: «Attraverso questo luogo bisogna tenere a freno gli occhi (=non voltarli in giro), perchè si potrebbe sbagliare per un nonnulla». 120
Allora udii [spiriti] che cantavano, pur stando in mezzo al grande fuoco, ‘Summae Deus clementiae’ (=‘Dio di somma clemenza’) la qual cosa mi fece desiderare di volger[mi] non meno [che di tenere a freno gli occhi]. 123
e vidi anime che camminavano in mezzo alle fiamme; per cui io guardavo a loro e ai miei passi alternando lo sguardo di volta in volta [tra gli uni e gli altri]. 126
Dopo la fine che si pone a quell’inno (=finito l’inno), gridavano forte: ‘Virum non cognosco’ (=‘Non conosco uomo’); poi ricominciavano l’inno a voce bassa. 129
Finitolo, gridavano ancora: «Diana rimase nel bosco, e ne cacciò Elice che aveva sentito il veleno di Venere (=la lussuria)». 132
Tornavano poi a cantare; poi gridavano [esempi di] mogli e mariti che furono casti come [la] virtù e [il] matrimonio impongono. 135
E credo che questa modalità duri per loro (=che sia da loro osservata) per tutto il tempo che il fuoco li brucia; è necessario che la piaga alla fine si rimargini con questa cura e con questi nutrimenti [spirituali]. 138-139