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Canto XXIV
Né ‘l dir l’andar, né l’andar lui più lento
facea, ma ragionando andavam forte,
sì come nave pinta da buon vento; 3
Nè il parlare rendeva più lento l’andare, nè l’andare [rendeva più lento] quello (=il parlare), ma pur conversando camminavamo veloci, così come [una] nave spinta da [un] vento favorevole; 3
e l’ombre, che parean cose rimorte,
per le fosse de li occhi ammirazione
traean di me, di mio vivere accorte. 6
e le anime, che sembravano cose più che morte (=prive di ogni vitalità), accortesi che ero vivo, [guardandomi] attraverso le orbite degli occhi, si meravigliavano di me. 6
E io, continuando al mio sermone,
dissi: «Ella sen va sù forse più tarda
che non farebbe, per altrui cagione. 9
E io, continuando il mio discorso, dissi: «Ella (=l’ombra di Stazio) se ne va su forse più lentamente di quanto non farebbe [se fosse da sola], a causa dell’altro (=di Virgilio). 9
Ma dimmi, se tu sai, dov’è Piccarda;
dimmi s’io veggio da notar persona
tra questa gente che sì mi riguarda». 12
Ma dimmi, se tu [lo] sai, dov’è Piccarda; dimmi se tra queste anime che mi fissano in questo modo io posso vedere qualcuno da notare (=degno di nota)». 12
«La mia sorella, che tra bella e buona
non so qual fosse più, triunfa lieta
ne l’alto Olimpo già di sua corona». 15
«Mia sorella (=Piccarda), che tra bella e buona non so cosa fosse [di] più (=che non so se fu più bella o più buona), trionfa già felice de[lla] sua corona (=della beatitudine) nell’alto dell’Empireo». 15
Sì disse prima; e poi: «Qui non si vieta
di nominar ciascun, da ch’è sì munta
nostra sembianza via per la dieta. 18
Così [Forese] disse prima; e poi: «Qui (=in questa cornice) non è vietato [anzi è opportuno] nominare ciascuno, dato che [il] nostro aspetto è così consumato a causa del digiuno. 18
Questi», e mostrò col dito, «è Bonagiunta,
Bonagiunta da Lucca; e quella faccia
di là da lui più che l’altre trapunta 21
Questo», e [lo] mostrò con il dito, «è Bonagiunta (= Bonagiunta Orbicciani), Bonagiunta da Lucca; e quella faccia dietro a lui più magra delle altre 21
ebbe la Santa Chiesa in le sue braccia:
dal Torso fu, e purga per digiuno
l’anguille di Bolsena e la vernaccia». 24
ebbe la Santa Chiesa fra le sue braccia (=fu papa): fu di Tours (=Martino IV), e purifica con [il] digiuno le anguille [del lago] di Bolsena e la vernaccia». 24
Molti altri mi nomò ad uno ad uno;
e del nomar parean tutti contenti,
sì ch’io però non vidi un atto bruno. 27
Molti altri mi nominò a uno a uno; e tutti sembravano contenti di essere nominati, tanto che io perciò non vidi un gesto scontento (=di scontentezza). 27
Vidi per fame a vòto usar li denti
Ubaldin da la Pila e Bonifazio
che pasturò col rocco molte genti. 30
Vidi Ubaldino della Pila usare i denti (=masticare) a vuoto per [la] fame e [il vescovo] Bonifazio che fu pastore di molte popolazioni con il bastone vescovile. 30
Vidi messer Marchese, ch’ebbe spazio
già di bere a Forlì con men secchezza,
e sì fu tal, che non si sentì sazio. 33
Vidi messere Marchese (=Marchese degli Argogliosi), che in passato ebbe opportunità di bere a Forlì con meno sete [di qui], e fu tale (=un tale bevitore), che non si sentì [mai] sazio. 33
Ma come fa chi guarda e poi s’apprezza
più d’un che d’altro, fei a quel da Lucca,
che più parea di me aver contezza. 36
Ma come fa chi guarda e poi si compiace più di uno che di un altro, [così] feci [io] con quello di Lucca (= con Bonagiunta Orbicciani) che sembrava avere più cognizione di me. 36
El mormorava; e non so che «Gentucca»
sentiv’io là, ov’el sentia la piaga
de la giustizia che sì li pilucca. 39
Egli mormorava; e io sentivo qualcosa come «Gentucca» là (=sulla bocca), dove egli sentiva il tormento della giustizia [divina] (=il tormento della fame e della sete voluto dalla giustizia divina) che li consuma così. 39
«O anima», diss’io, «che par sì vaga
di parlar meco, fa sì ch’io t’intenda,
e te e me col tuo parlare appaga». 42
Io dissi «O anima che sembri così desiderosa di parlare con me, fa sì che io ti capisca, e appaga con le tue parole e te e me». 42
«Femmina è nata, e non porta ancor benda»,
cominciò el, «che ti farà piacere
la mia città, come ch’om la riprenda. 45
Egli cominciò «E’[già] nata una donna, e non indossa ancora il velo [maritale] (=è ancora ragazza), la quale ti farà piacere la mia città (=Lucca), nonostante se ne dica male. 45
Tu te n’andrai con questo antivedere:
se nel mio mormorar prendesti errore,
dichiareranti ancor le cose vere. 48
Tu te ne andrai con questa profezia: se per il mio mormorare (=per le mie parole mormorate) sei stato preso da [qualche] dubbio, i fatti reali te lo spiegheranno ulteriormente. 48
Ma dì s’i’ veggio qui colui che fore
trasse le nove rime, cominciando
‘Donne ch’avete intelletto d’amore’». 51
Ma di[mmi] se io (=Bonagiunta) vedo qui colui (=Dante) che diede inizio alla nuova poesia, [con la canzone] che comincia ‘Donne ch’avete intelletto d’amore’». 51
E io a lui: «I’ mi son un che, quando
Amor mi spira, noto, e a quel modo
ch’e’ ditta dentro vo significando». 54
E io a lui: «Io sono uno che, quando Amore mi ispira, annoto, e vado [poi] esprimendomi nel modo in cui egli detta dentro [di me]». 54
«O frate, issa vegg’io», diss’elli, «il nodo
che ‘l Notaro e Guittone e me ritenne
di qua dal dolce stil novo ch’i’ odo! 57
Egli disse: «O fratello, adesso io vedo l’ostacolo che trattenne il Notaio (=Giacomo da Lentini) e Guittone (=Guittone d’Arezzo) e me [al] di qua del dolce stil novo di cui [ora] apprendo [il principio essenziale]! 57
Io veggio ben come le vostre penne
di retro al dittator sen vanno strette,
che de le nostre certo non avvenne; 60
Io [ora] vedo bene come le vostre penne (=i vostri scritti) se ne vanno strette dietro al dettatore (=seguono da vicino Amore), [cosa] che non avvenne certo alle nostre; 60
e qual più a gradire oltre si mette,
non vede più da l’uno a l’altro stilo»;
e, quasi contentato, si tacette. 63
e chiunque si mette a procedere oltre (=a indagare oltre), non vede altra [differenza che questa] tra l’uno e l’altro stile (=tra lo Stil novo e quello dei poeti precedenti)»; e, come appagato, tacque. 63
Come li augei che vernan lungo ‘l Nilo,
alcuna volta in aere fanno schiera,
poi volan più a fretta e vanno in filo, 66
Come gli uccelli (=le gru) che svernano lungo il Nilo, talvolta formano [uno] stormo in aria, poi volano più velocemente e vanno in fila, 66
così tutta la gente che lì era,
volgendo ‘l viso, raffrettò suo passo,
e per magrezza e per voler leggera. 69
così tutte le anime che erano lì, volgendo lo sguardo (=distogliendolo da Dante), affrettarono [il] loro passo, leggere e per [la] magrezza e per [il] desiderio [di andare a purificarsi]. 69
E come l’uom che di trottare è lasso,
lascia andar li compagni, e sì passeggia
fin che si sfoghi l’affollar del casso, 72
E come chi è stanco di correre lascia andare i compagni, e va al passo così finchè si calmi l’ansimare del petto, 72
sì lasciò trapassar la santa greggia
Forese, e dietro meco sen veniva,
dicendo: «Quando fia ch’io ti riveggia?». 75
così Forese lasciò andare avanti il santo gruppo [di penitenti] e se ne veniva dietro con me, dicendo: «Quando accadrà che io ti riveda?». 75
«Non so», rispuos’io lui, «quant’io mi viva;
ma già non fia il tornar mio tantosto,
ch’io non sia col voler prima a la riva; 78
Io gli risposi: «Non so quanto io vivrò; ma il mio ritorno [in Purgatorio] non avverrà così presto, che io non arrivi prima alla riva (= alla riva in cui ci si imbarca per il Purgatorio) con il desiderio; 78
però che ‘l loco u’ fui a viver posto,
di giorno in giorno più di ben si spolpa,
e a trista ruina par disposto». 81
poichè il luogo in cui fui posto a vivere (=Firenze), di giorno in giorno si spoglia [di] più d[el] bene, e sembra destinato a [una] rovina miseranda». 81
«Or va», diss’el; «che quei che più n’ha colpa,
vegg’io a coda d’una bestia tratto
inver’ la valle ove mai non si scolpa. 84
Egli disse: «Ora va’ [tranquillo] perchè io vedo colui (=Corso Donati) che ne ha più colpa (=della rovina di Firenze) trascinato da[lla] coda di una bestia (=di un cavallo) verso la valle dove non ci si libera mai dalla colpa. 84
La bestia ad ogne passo va più ratto,
crescendo sempre, fin ch’ella il percuote,
e lascia il corpo vilmente disfatto. 87
La bestia va più velocemente a ogni passo, aumentando sempre [la velocità], finchè quella lo colpisce [con calci], e lascia il [suo] corpo ignobilmente massacrato. 87
Non hanno molto a volger quelle ruote»,
e drizzò li ochi al ciel, «che ti fia chiaro
ciò che ‘l mio dir più dichiarar non puote. 90
E sollevò gli occhi verso il cielo: «Quei cieli non dovranno girare molto (=non passeranno molti anni), che ti sarà chiaro ciò che le mie parole non possono spiegare maggiormente. 90
Tu ti rimani omai; ché ‘l tempo è caro
in questo regno, sì ch’io perdo troppo
venendo teco sì a paro a paro». 93
Ormai tu resta; perchè il tempo è prezioso in questo regno, così che io perderei troppo (=subirei una perdita troppo grave in merito alla salvezza) venendo così con te di pari passo». 93
Qual esce alcuna volta di gualoppo
lo cavalier di schiera che cavalchi,
e va per farsi onor del primo intoppo, 96
Come qualche volta un cavaliere esce al galoppo da [una] schiera che va a cavallo (=da una schiera di soldati a cavallo), e avanza per avere [l’] onore del primo scontro, 96
tal si partì da noi con maggior valchi;
e io rimasi in via con esso i due
che fuor del mondo sì gran marescalchi. 99
così si allontanò da noi con passi più lunghi; e io rimasi in cammino solo con i due che furono così grandi guide dell’umanità (=Virgilio e Stazio). 99
E quando innanzi a noi intrato fue,
che li occhi miei si fero a lui seguaci,
come la mente a le parole sue, 102
E quando si fu inoltrato davanti a noi, [tanto] che i miei occhi si fecero suoi inseguitori (=lo seguirono a fatica), come la [mia] mente [si fece inseguitrice] delle sue parole (=provava a capire le sue parole), 102
parvermi i rami gravidi e vivaci
d’un altro pomo, e non molto lontani
per esser pur allora vòlto in laci. 105
mi apparvero i rami carichi e verdeggianti di un altro albero, e non molto lontani essendomi solo allora girato in là (=nella sua direzione). 105
Vidi gente sott’esso alzar le mani
e gridar non so che verso le fronde,
quasi bramosi fantolini e vani, 108
Sotto [di] esso vidi [delle] anime che alzavano le mani e gridavano non so che verso le fronde, quasi fanciullini avidi e sprovveduti, 108
che pregano, e ‘l pregato non risponde,
ma, per fare esser ben la voglia acuta,
tien alto lor disio e nol nasconde. 111
che pregano, e colui che è pregato non risponde, ma, per rendere più intensa la [loro] brama, tiene [in] alto [l’oggetto del] loro desiderio e non lo nasconde. 111
Poi si partì sì come ricreduta;
e noi venimmo al grande arbore adesso,
che tanti prieghi e lagrime rifiuta. 114
Poi [la folla di anime] si allontanò come disingannata; e noi giungemmo subito al grande albero, che respinge tante preghiere e lacrime. 114
«Trapassate oltre sanza farvi presso:
legno è più sù che fu morso da Eva,
e questa pianta si levò da esso». 117
«Passate oltre senza avvicinarvi: più in alto (=nel Paradiso terrestre) c’è [un] albero che fu assaggiato da Eva (= il cui frutto fu assaggiato da Eva), e questa pianta derivò da quello». 117
Sì tra le frasche non so chi diceva;
per che Virgilio e Stazio e io, ristretti,
oltre andavam dal lato che si leva. 120
Non so chi parlava così tra le fronde; per cui Virgilio e Stazio e io, [tenendoci] stretti, passavamo oltre dal lato [della cornice] che si innalza (=dalla parte della parete). 120
«Ricordivi», dicea, «d’i maladetti
nei nuvoli formati, che, satolli,
Teseo combatter co’ doppi petti; 123
Diceva: «Ricordatevi dei maledetti (=dei Centauri) generati nelle nuvole, che, sazi, combatterono Teseo con i petti doppi (=di uomini e di cavalli); 123
e de li Ebrei ch’al ber si mostrar molli,
per che no i volle Gedeon compagni,
quando inver’ Madian discese i colli». 126
e degli Ebrei che si mostrarono deboli nel bere, per cui Gedeone non li volle [come] compagni [in battaglia], quando scese i colli contro [i] Madianiti». 126
Sì accostati a l’un d’i due vivagni
passammo, udendo colpe de la gola
seguite già da miseri guadagni. 129
Così accostati a uno dei due margini (=al margine interno) passammo [oltre], ascoltando [esempi di] peccati di gola seguiti solo da miserevoli castighi. 129
Poi, rallargati per la strada sola,
ben mille passi e più ci portar oltre,
contemplando ciascun sanza parola. 132
Poi, distanziati [tra noi] lungo la strada deserta, ben mille passi e più ci portarono oltre [l’albero], mentre ciascuno meditava senza parlare. 132
«Che andate pensando sì voi sol tre?».
sùbita voce disse; ond’io mi scossi
come fan bestie spaventate e poltre. 135
[Una] voce improvvisa disse: «Che [cosa] andate pensando in tale atteggiamento voi tre [da] soli?»; per cui io mi riscossi come fanno [le] bestie spaventate mentre poltriscono. 135
Drizzai la testa per veder chi fossi;
e già mai non si videro in fornace
vetri o metalli sì lucenti e rossi, 138
Sollevai la testa per vedere chi fosse; e non si videro giammai in [una] fornace vetri o metalli così lucenti e rossi (=incandescenti), 138
com’io vidi un che dicea: «S’a voi piace
montare in sù, qui si convien dar volta;
quinci si va chi vuole andar per pace». 141
come io vidi uno (=un angelo) che diceva: «Se a voi è gradito salire, è necessario svoltare qui; da questa parte se [ne] va chi vuole andare verso [la] pace [eterna]». 141
L’aspetto suo m’avea la vista tolta;
per ch’io mi volsi dietro a’ miei dottori,
com’om che va secondo ch’elli ascolta. 144
Il suo aspetto mi aveva tolto la vista; per cui io mi volsi dietro ai miei maestri, come chi cammina (= un cieco) seguendo [ciò] che egli sente (=il suono della voce). 144
E quale, annunziatrice de li albori,
l’aura di maggio movesi e olezza,
tutta impregnata da l’erba e da’ fiori; 147
E come l’aria di maggio, che annuncia l’alba, spira e profuma, tutta impregnata [del profumo] dell’erba e dei fiori; 147
tal mi senti’ un vento dar per mezza
la fronte, e ben senti’ mover la piuma,
che fé sentir d’ambrosia l’orezza. 150
così sentii un vento toccarmi in mezzo alla fronte, e sentii distintamente muover[si] l’ala [dell’angelo] che fece profumare di ambrosia quel venticello. 150
E senti’ dir: «Beati cui alluma
tanto di grazia, che l’amor del gusto
nel petto lor troppo disir non fuma, 153
E sentii dire: «Beati quelli ai quali splende tanta grazia [divina], che il piacere della gola non infonde nel loro animo [un] desiderio eccessivo, 153
esuriendo sempre quanto è giusto!». 154
avendo sempre fame [soltanto] di quanto è giusto (=di giustizia)!». 154
🖥️ Parafrasi affiancata
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Canto XXIV
Né ‘l dir l’andar, né l’andar lui più lento
facea, ma ragionando andavam forte,
sì come nave pinta da buon vento; 3
e l’ombre, che parean cose rimorte,
per le fosse de li occhi ammirazione
traean di me, di mio vivere accorte. 6
E io, continuando al mio sermone,
dissi: «Ella sen va sù forse più tarda
che non farebbe, per altrui cagione. 9
Ma dimmi, se tu sai, dov’è Piccarda;
dimmi s’io veggio da notar persona
tra questa gente che sì mi riguarda». 12
«La mia sorella, che tra bella e buona
non so qual fosse più, triunfa lieta
ne l’alto Olimpo già di sua corona». 15
Sì disse prima; e poi: «Qui non si vieta
di nominar ciascun, da ch’è sì munta
nostra sembianza via per la dieta. 18
Questi», e mostrò col dito, «è Bonagiunta,
Bonagiunta da Lucca; e quella faccia
di là da lui più che l’altre trapunta 21
ebbe la Santa Chiesa in le sue braccia:
dal Torso fu, e purga per digiuno
l’anguille di Bolsena e la vernaccia». 24
Molti altri mi nomò ad uno ad uno;
e del nomar parean tutti contenti,
sì ch’io però non vidi un atto bruno. 27
Vidi per fame a vòto usar li denti
Ubaldin da la Pila e Bonifazio
che pasturò col rocco molte genti. 30
Vidi messer Marchese, ch’ebbe spazio
già di bere a Forlì con men secchezza,
e sì fu tal, che non si sentì sazio. 33
Ma come fa chi guarda e poi s’apprezza
più d’un che d’altro, fei a quel da Lucca,
che più parea di me aver contezza. 36
El mormorava; e non so che «Gentucca»
sentiv’io là, ov’el sentia la piaga
de la giustizia che sì li pilucca. 39
«O anima», diss’io, «che par sì vaga
di parlar meco, fa sì ch’io t’intenda,
e te e me col tuo parlare appaga». 42
«Femmina è nata, e non porta ancor benda»,
cominciò el, «che ti farà piacere
la mia città, come ch’om la riprenda. 45
Tu te n’andrai con questo antivedere:
se nel mio mormorar prendesti errore,
dichiareranti ancor le cose vere. 48
Ma dì s’i’ veggio qui colui che fore
trasse le nove rime, cominciando
‘Donne ch’avete intelletto d’amore’». 51
E io a lui: «I’ mi son un che, quando
Amor mi spira, noto, e a quel modo
ch’e’ ditta dentro vo significando». 54
«O frate, issa vegg’io», diss’elli, «il nodo
che ‘l Notaro e Guittone e me ritenne
di qua dal dolce stil novo ch’i’ odo! 57
Io veggio ben come le vostre penne
di retro al dittator sen vanno strette,
che de le nostre certo non avvenne; 60
e qual più a gradire oltre si mette,
non vede più da l’uno a l’altro stilo»;
e, quasi contentato, si tacette. 63
Come li augei che vernan lungo ‘l Nilo,
alcuna volta in aere fanno schiera,
poi volan più a fretta e vanno in filo, 66
così tutta la gente che lì era,
volgendo ‘l viso, raffrettò suo passo,
e per magrezza e per voler leggera. 69
E come l’uom che di trottare è lasso,
lascia andar li compagni, e sì passeggia
fin che si sfoghi l’affollar del casso, 72
sì lasciò trapassar la santa greggia
Forese, e dietro meco sen veniva,
dicendo: «Quando fia ch’io ti riveggia?». 75
«Non so», rispuos’io lui, «quant’io mi viva;
ma già non fia il tornar mio tantosto,
ch’io non sia col voler prima a la riva; 78
però che ‘l loco u’ fui a viver posto,
di giorno in giorno più di ben si spolpa,
e a trista ruina par disposto». 81
«Or va», diss’el; «che quei che più n’ha colpa,
vegg’io a coda d’una bestia tratto
inver’ la valle ove mai non si scolpa. 84
La bestia ad ogne passo va più ratto,
crescendo sempre, fin ch’ella il percuote,
e lascia il corpo vilmente disfatto. 87
Non hanno molto a volger quelle ruote»,
e drizzò li ochi al ciel, «che ti fia chiaro
ciò che ‘l mio dir più dichiarar non puote. 90
Tu ti rimani omai; ché ‘l tempo è caro
in questo regno, sì ch’io perdo troppo
venendo teco sì a paro a paro». 93
Qual esce alcuna volta di gualoppo
lo cavalier di schiera che cavalchi,
e va per farsi onor del primo intoppo, 96
tal si partì da noi con maggior valchi;
e io rimasi in via con esso i due
che fuor del mondo sì gran marescalchi. 99
E quando innanzi a noi intrato fue,
che li occhi miei si fero a lui seguaci,
come la mente a le parole sue, 102
parvermi i rami gravidi e vivaci
d’un altro pomo, e non molto lontani
per esser pur allora vòlto in laci. 105
Vidi gente sott’esso alzar le mani
e gridar non so che verso le fronde,
quasi bramosi fantolini e vani, 108
che pregano, e ‘l pregato non risponde,
ma, per fare esser ben la voglia acuta,
tien alto lor disio e nol nasconde. 111
Poi si partì sì come ricreduta;
e noi venimmo al grande arbore adesso,
che tanti prieghi e lagrime rifiuta. 114
«Trapassate oltre sanza farvi presso:
legno è più sù che fu morso da Eva,
e questa pianta si levò da esso». 117
Sì tra le frasche non so chi diceva;
per che Virgilio e Stazio e io, ristretti,
oltre andavam dal lato che si leva. 120
«Ricordivi», dicea, «d’i maladetti
nei nuvoli formati, che, satolli,
Teseo combatter co’ doppi petti; 123
e de li Ebrei ch’al ber si mostrar molli,
per che no i volle Gedeon compagni,
quando inver’ Madian discese i colli». 126
Sì accostati a l’un d’i due vivagni
passammo, udendo colpe de la gola
seguite già da miseri guadagni. 129
Poi, rallargati per la strada sola,
ben mille passi e più ci portar oltre,
contemplando ciascun sanza parola. 132
«Che andate pensando sì voi sol tre?».
sùbita voce disse; ond’io mi scossi
come fan bestie spaventate e poltre. 135
Drizzai la testa per veder chi fossi;
e già mai non si videro in fornace
vetri o metalli sì lucenti e rossi, 138
com’io vidi un che dicea: «S’a voi piace
montare in sù, qui si convien dar volta;
quinci si va chi vuole andar per pace». 141
L’aspetto suo m’avea la vista tolta;
per ch’io mi volsi dietro a’ miei dottori,
com’om che va secondo ch’elli ascolta. 144
E quale, annunziatrice de li albori,
l’aura di maggio movesi e olezza,
tutta impregnata da l’erba e da’ fiori; 147
tal mi senti’ un vento dar per mezza
la fronte, e ben senti’ mover la piuma,
che fé sentir d’ambrosia l’orezza. 150
E senti’ dir: «Beati cui alluma
tanto di grazia, che l’amor del gusto
nel petto lor troppo disir non fuma, 153
esuriendo sempre quanto è giusto!». 154
Canto XXIV
Nè il parlare rendeva più lento l’andare, nè l’andare [rendeva più lento] quello (=il parlare), ma pur conversando camminavamo veloci, così come [una] nave spinta da [un] vento favorevole; 3
e le anime, che sembravano cose più che morte (=prive di ogni vitalità), accortesi che ero vivo, [guardandomi] attraverso le orbite degli occhi, si meravigliavano di me. 6
E io, continuando il mio discorso, dissi: «Ella (=l’ombra di Stazio) se ne va su forse più lentamente di quanto non farebbe [se fosse da sola], a causa dell’altro (=di Virgilio). 9
Ma dimmi, se tu [lo] sai, dov’è Piccarda; dimmi se tra queste anime che mi fissano in questo modo io posso vedere qualcuno da notare (=degno di nota)». 12
«Mia sorella (=Piccarda), che tra bella e buona non so cosa fosse [di] più (=che non so se fu più bella o più buona), trionfa già felice de[lla] sua corona (=della beatitudine) nell’alto dell’Empireo». 15
Così [Forese] disse prima; e poi: «Qui (=in questa cornice) non è vietato [anzi è opportuno] nominare ciascuno, dato che [il] nostro aspetto è così consumato a causa del digiuno. 18
Questo», e [lo] mostrò con il dito, «è Bonagiunta (= Bonagiunta Orbicciani), Bonagiunta da Lucca; e quella faccia dietro a lui più magra delle altre 21
ebbe la Santa Chiesa fra le sue braccia (=fu papa): fu di Tours (=Martino IV), e purifica con [il] digiuno le anguille [del lago] di Bolsena e la vernaccia». 24
Molti altri mi nominò a uno a uno; e tutti sembravano contenti di essere nominati, tanto che io perciò non vidi un gesto scontento (=di scontentezza). 27
Vidi Ubaldino della Pila usare i denti (=masticare) a vuoto per [la] fame e [il vescovo] Bonifazio che fu pastore di molte popolazioni con il bastone vescovile. 30
Vidi messere Marchese (=Marchese degli Argogliosi), che in passato ebbe opportunità di bere a Forlì con meno sete [di qui], e fu tale (=un tale bevitore), che non si sentì [mai] sazio. 33
Ma come fa chi guarda e poi si compiace più di uno che di un altro, [così] feci [io] con quello di Lucca (= con Bonagiunta Orbicciani) che sembrava avere più cognizione di me. 36
Egli mormorava; e io sentivo qualcosa come «Gentucca» là (=sulla bocca), dove egli sentiva il tormento della giustizia [divina] (=il tormento della fame e della sete voluto dalla giustizia divina) che li consuma così. 39
Io dissi «O anima che sembri così desiderosa di parlare con me, fa sì che io ti capisca, e appaga con le tue parole e te e me». 42
Egli cominciò «E’[già] nata una donna, e non indossa ancora il velo [maritale] (=è ancora ragazza), la quale ti farà piacere la mia città (=Lucca), nonostante se ne dica male. 45
Tu te ne andrai con questa profezia: se per il mio mormorare (=per le mie parole mormorate) sei stato preso da [qualche] dubbio, i fatti reali te lo spiegheranno ulteriormente. 48
Ma di[mmi] se io (=Bonagiunta) vedo qui colui (=Dante) che diede inizio alla nuova poesia, [con la canzone] che comincia ‘Donne ch’avete intelletto d’amore’». 51
E io a lui: «Io sono uno che, quando Amore mi ispira, annoto, e vado [poi] esprimendomi nel modo in cui egli detta dentro [di me]». 54
Egli disse: «O fratello, adesso io vedo l’ostacolo che trattenne il Notaio (=Giacomo da Lentini) e Guittone (=Guittone d’Arezzo) e me [al] di qua del dolce stil novo di cui [ora] apprendo [il principio essenziale]! 57
Io [ora] vedo bene come le vostre penne (=i vostri scritti) se ne vanno strette dietro al dettatore (=seguono da vicino Amore), [cosa] che non avvenne certo alle nostre; 60
e chiunque si mette a procedere oltre (=a indagare oltre), non vede altra [differenza che questa] tra l’uno e l’altro stile (=tra lo Stil novo e quello dei poeti precedenti)»; e, come appagato, tacque. 63
Come gli uccelli (=le gru) che svernano lungo il Nilo, talvolta formano [uno] stormo in aria, poi volano più velocemente e vanno in fila, 66
così tutte le anime che erano lì, volgendo lo sguardo (=distogliendolo da Dante), affrettarono [il] loro passo, leggere e per [la] magrezza e per [il] desiderio [di andare a purificarsi]. 69
E come chi è stanco di correre lascia andare i compagni, e va al passo così finchè si calmi l’ansimare del petto, 72
così Forese lasciò andare avanti il santo gruppo [di penitenti] e se ne veniva dietro con me, dicendo: «Quando accadrà che io ti riveda?». 75
Io gli risposi: «Non so quanto io vivrò; ma il mio ritorno [in Purgatorio] non avverrà così presto, che io non arrivi prima alla riva (= alla riva in cui ci si imbarca per il Purgatorio) con il desiderio; 78
poichè il luogo in cui fui posto a vivere (=Firenze), di giorno in giorno si spoglia [di] più d[el] bene, e sembra destinato a [una] rovina miseranda». 81
Egli disse: «Ora va’ [tranquillo] perchè io vedo colui (=Corso Donati) che ne ha più colpa (=della rovina di Firenze) trascinato da[lla] coda di una bestia (=di un cavallo) verso la valle dove non ci si libera mai dalla colpa. 84
La bestia va più velocemente a ogni passo, aumentando sempre [la velocità], finchè quella lo colpisce [con calci], e lascia il [suo] corpo ignobilmente massacrato. 87
E sollevò gli occhi verso il cielo: «Quei cieli non dovranno girare molto (=non passeranno molti anni), che ti sarà chiaro ciò che le mie parole non possono spiegare maggiormente. 90
Ormai tu resta; perchè il tempo è prezioso in questo regno, così che io perderei troppo (=subirei una perdita troppo grave in merito alla salvezza) venendo così con te di pari passo». 93
Come qualche volta un cavaliere esce al galoppo da [una] schiera che va a cavallo (=da una schiera di soldati a cavallo), e avanza per avere [l’] onore del primo scontro, 96
così si allontanò da noi con passi più lunghi; e io rimasi in cammino solo con i due che furono così grandi guide dell’umanità (=Virgilio e Stazio). 99
E quando si fu inoltrato davanti a noi, [tanto] che i miei occhi si fecero suoi inseguitori (=lo seguirono a fatica), come la [mia] mente [si fece inseguitrice] delle sue parole (=provava a capire le sue parole), 102
mi apparvero i rami carichi e verdeggianti di un altro albero, e non molto lontani essendomi solo allora girato in là (=nella sua direzione). 105
Sotto [di] esso vidi [delle] anime che alzavano le mani e gridavano non so che verso le fronde, quasi fanciullini avidi e sprovveduti, 108
che pregano, e colui che è pregato non risponde, ma, per rendere più intensa la [loro] brama, tiene [in] alto [l’oggetto del] loro desiderio e non lo nasconde. 111
Poi [la folla di anime] si allontanò come disingannata; e noi giungemmo subito al grande albero, che respinge tante preghiere e lacrime. 114
«Passate oltre senza avvicinarvi: più in alto (=nel Paradiso terrestre) c’è [un] albero che fu assaggiato da Eva (= il cui frutto fu assaggiato da Eva), e questa pianta derivò da quello». 117
Non so chi parlava così tra le fronde; per cui Virgilio e Stazio e io, [tenendoci] stretti, passavamo oltre dal lato [della cornice] che si innalza (=dalla parte della parete). 120
Diceva: «Ricordatevi dei maledetti (=dei Centauri) generati nelle nuvole, che, sazi, combatterono Teseo con i petti doppi (=di uomini e di cavalli); 123
e degli Ebrei che si mostrarono deboli nel bere, per cui Gedeone non li volle [come] compagni [in battaglia], quando scese i colli contro [i] Madianiti». 126
Così accostati a uno dei due margini (=al margine interno) passammo [oltre], ascoltando [esempi di] peccati di gola seguiti solo da miserevoli castighi. 129
Poi, distanziati [tra noi] lungo la strada deserta, ben mille passi e più ci portarono oltre [l’albero], mentre ciascuno meditava senza parlare. 132
[Una] voce improvvisa disse: «Che [cosa] andate pensando in tale atteggiamento voi tre [da] soli?»; per cui io mi riscossi come fanno [le] bestie spaventate mentre poltriscono. 135
Sollevai la testa per vedere chi fosse; e non si videro giammai in [una] fornace vetri o metalli così lucenti e rossi (=incandescenti), 138
come io vidi uno (=un angelo) che diceva: «Se a voi è gradito salire, è necessario svoltare qui; da questa parte se [ne] va chi vuole andare verso [la] pace [eterna]». 141
Il suo aspetto mi aveva tolto la vista; per cui io mi volsi dietro ai miei maestri, come chi cammina (= un cieco) seguendo [ciò] che egli sente (=il suono della voce). 144
E come l’aria di maggio, che annuncia l’alba, spira e profuma, tutta impregnata [del profumo] dell’erba e dei fiori; 147
così sentii un vento toccarmi in mezzo alla fronte, e sentii distintamente muover[si] l’ala [dell’angelo] che fece profumare di ambrosia quel venticello. 150
E sentii dire: «Beati quelli ai quali splende tanta grazia [divina], che il piacere della gola non infonde nel loro animo [un] desiderio eccessivo, 153
avendo sempre fame [soltanto] di quanto è giusto (=di giustizia)!». 154