(ideale per la visualizzazione su dispositivi mobili)
Canto XXIII
Mentre che li occhi per la fronda verde
ficcava io sì come far suole
chi dietro a li uccellin sua vita perde, 3
Mentre io ficcavo lo sguardo attraverso le fronde verdi così come è solito fare chi perde [la] sua vita (=il suo tempo) dietro agli uccellini (=il cacciatore), 3
lo più che padre mi dicea: «Figliuole,
vienne oramai, ché ‘l tempo che n’è imposto
più utilmente compartir si vuole». 6
colui che [per me] è più di un padre (=Virgilio) mi diceva: «Figliuolo, vieni ormai, perchè il tempo che ci è assegnato si deve ripartire più utilmente». 6
Io volsi ‘l viso, e ‘l passo non men tosto,
appresso i savi, che parlavan sìe,
che l’andar mi facean di nullo costo. 9
Io volsi lo sguardo, e non meno in fretta il passo, presso i [due] saggi (=i poeti Virgilio e Stazio), che parlavano così, da rendermi il cammino di nessuna fatica. 9
Ed ecco piangere e cantar s’udìe
‘Labia mea, Domine’ per modo
tal, che diletto e doglia parturìe. 12
Ed ecco si sentì piangere e cantare ‘Labia mea, Domine’ (=‘Le labbra mie, o Signore’) in modo tale, che generò [in me] diletto e dolore. 12
«O dolce padre, che è quel ch’i’ odo?»,
comincia’ io; ed elli: «Ombre che vanno
forse di lor dover solvendo il nodo». 15
Io cominciai: «O dolce padre, cos’è quello che io odo?»; ed egli: «[Sono] ombre che forse vanno sciogliendo il nodo de[l] loro debito [con Dio]». 15
Sì come i peregrin pensosi fanno,
giugnendo per cammin gente non nota,
che si volgono ad essa e non restanno, 18
Così come fanno i pellegrini assorti nei loro pensieri, quando raggiungono per via gente sconosciuta, che si voltano verso quella e non si fermano, 18
così di retro a noi, più tosto mota,
venendo e trapassando ci ammirava
d’anime turba tacita e devota. 21
così [una] turba [di anime] silenziosa e devota, venendo da dietro di noi, [ma] muovendosi più rapidamente, e oltrepassandoci ci guardava con meraviglia. 21
Ne li occhi era ciascuna oscura e cava,
palida ne la faccia, e tanto scema,
che da l’ossa la pelle s’informava. 24
Ognuna aveva gli occhi scuri e incavati, la faccia pallida, e così consumata, che la pelle prendeva forma dalle ossa (=aderiva alle ossa). 24
Non credo che così a buccia strema
Erisìttone fosse fatto secco,
per digiunar, quando più n’ebbe tema. 27
Non credo che Erisittone fosse rinsecchito così fino a[ll’] ultimo lembo di pelle, per il digiuno, quando ne (=del digiuno) ebbe più timore. 27
Io dicea fra me stesso pensando: ‘Ecco
la gente che perdé Ierusalemme,
quando Maria nel figlio diè di becco!’ 30
Io dicevo tra me pensando: ‘Ecco la gente (=gli Ebrei) che perse Gerusalemme, quando Maria [di Eleazaro] mise i denti nel[la carne del] figlio!’ 30
Parean l’occhiaie anella sanza gemme:
chi nel viso de li uomini legge ‘omo’
ben avria quivi conosciuta l’emme. 33
Le occhiaie sembravano anelli senza gemme: chi legge [la parola] ‘omo’ nel viso degli uomini avrebbe qui (=su quei volti) riconosciuto bene la emme. 33
Chi crederebbe che l’odor d’un pomo
sì governasse, generando brama,
e quel d’un’acqua, non sappiendo como? 36
Chi, non sapendo come [ciò avvenga], potrebbe credere che il profumo di un frutto e quello di un’acqua riducesse in tale stato, generando brama? 36
Già era in ammirar che sì li affama,
per la cagione ancor non manifesta
di lor magrezza e di lor trista squama, 39
Già ero intento a considerare con stupore che [cosa] li affamasse così, perchè non [mi] era ancora nota la causa de[lla] loro magrezza e de[lla] loro squallida pelle squamosa, 39
ed ecco del profondo de la testa
volse a me li occhi un’ombra e guardò fiso;
poi gridò forte: «Qual grazia m’è questa?». 42
quand’ ecco dal profondo delle occhiaie, un’ombra volse gli occhi a me e [mi] guardò fissamente; poi gridò forte: «Quale grazia è questa per me?». 42
Mai non l’avrei riconosciuto al viso;
ma ne la voce sua mi fu palese
ciò che l’aspetto in sé avea conquiso. 45
Non l’avrei mai riconosciuto alla vista (=guardandolo); ma nella sua voce mi si rivelò ciò che l’aspetto in sè aveva distrutto. 45
Questa favilla tutta mi raccese
mia conoscenza a la cangiata labbia,
e ravvisai la faccia di Forese. 48
Questa scintilla riaccese in me tutta [la] mia conoscenza di quel volto cambiato, e riconobbi la faccia di Forese. 48
«Deh, non contendere a l’asciutta scabbia
che mi scolora», pregava, «la pelle,
né a difetto di carne ch’io abbia; 51
[Egli] pregava: «Oh, non badare alle squame secche che mi scolorano la pelle, nè a[lla] magrezza che io mostro; 51
ma dimmi il ver di te, di’ chi son quelle
due anime che là ti fanno scorta;
non rimaner che tu non mi favelle!». 54
ma dimmi la verità [su] di te, dimmi chi sono quelle due anime che là ti fanno [da] scorta; non rimanere senza parlarmi!». 54
«La faccia tua, ch’io lagrimai già morta,
mi dà di pianger mo non minor doglia»,
rispuos’io lui, «veggendola sì torta. 57
Io gli risposi: «La tua faccia, che io già piansi quando eri morto, mi dà ora [un] dolore non minore [tale] da piangere, vedendola così sfigurata. 57
Però mi dì, per Dio, che sì vi sfoglia;
non mi far dir mentr’io mi maraviglio,
ché mal può dir chi è pien d’altra voglia». 60
Perciò dimmi, in nome di Dio, che [cosa] vi consuma così; non farmi parlare finchè io mi meraviglio, perchè chi è pieno di [un] altro desiderio (=del desiderio di sapere altra cosa) può rispondere malvolentieri». 60
Ed elli a me: «De l’etterno consiglio
cade vertù ne l’acqua e ne la pianta
rimasa dietro ond’io sì m’assottiglio. 63
Ed egli a me: «Dalla volontà eterna (=divina) scende [un] potere nell’acqua e nella pianta rimasta dietro [di noi], per cui io dimagrisco così. 63
Tutta esta gente che piangendo canta
per seguitar la gola oltra misura,
in fame e ‘n sete qui si rifà santa. 66
Tutte queste anime che cantano e piangono per aver assecondato la gola oltre misura, tramite [la] fame e [la] sete qui tornano pure. 66
Di bere e di mangiar n’accende cura
l’odor ch’esce del pomo e de lo sprazzo
che si distende su per sua verdura. 69
Il profumo che esce dai frutti e dallo spruzzo [d’acqua], che si spande sulla sua vegetazione, accende in noi [il] desiderio di bere e di mangiare. 69
E non pur una volta, questo spazzo
girando, si rinfresca nostra pena:
io dico pena, e dovrìa dir sollazzo, 72
Mentre percorriamo in tondo questo spazio, [la] nostra pena si rinnova, e non una volta sola: io dico pena, ma dovrei dire gioia, 72
ché quella voglia a li alberi ci mena
che menò Cristo lieto a dire ‘Elì’,
quando ne liberò con la sua vena». 75
perchè ci conduce verso gli alberi quella [stessa] volontà che condusse Cristo lieto a dire ‘Elì’ (=Dio mio), quando ci liberò [dal peccato originale] con il suo sangue». 75
E io a lui: «Forese, da quel dì
nel qual mutasti mondo a miglior vita,
cinq’anni non son vòlti infino a qui. 78
E io a lui: «Forese, da quel giorno in cui cambiasti mondo per [una] vita migliore (=passasti a miglior vita), non sono trascorsi ancora cinque anni. 78
Se prima fu la possa in te finita
di peccar più, che sovvenisse l’ora
del buon dolor ch’a Dio ne rimarita, 81
Se la possibilità di peccare [ancora] cessò in te prima che giungesse l’ora della sincera contrizione che ci ricongiunge a Dio (=se indugiasti a pentirti fino all’ultimo istante di vita, quando cessa la possibilità di peccare), 81
come se’ tu qua sù venuto ancora?
Io ti credea trovar là giù di sotto
dove tempo per tempo si ristora». 84
come sei tu già venuto quassù? Io credevo di trovarti laggiù di sotto (=nell’Antipurgatorio) dove [il] tempo [senza pentimento] si compensa con [altrettanto] tempo [di attesa]». 84
Ond’elli a me: «Sì tosto m’ha condotto
a ber lo dolce assenzo d’i martìri
la Nella mia con suo pianger dirotto. 87
Per cui egli a me: «La mia Nella co[l] suo pianto dirotto mi ha condotto a bere così velocemente il dolce assenzio della pena. 87
Con suoi prieghi devoti e con sospiri
tratto m’ha de la costa ove s’aspetta,
e liberato m’ha de li altri giri. 90
Con [le] sue preghiere devote e con [i] sospiri mi ha liberato dalla pendice dove si aspetta (=all’Antipurgatorio), e mi ha liberato dagli altri gironi. 90
Tanto è a Dio più cara e più diletta
la vedovella mia, che molto amai,
quanto in bene operare è più soletta; 93
La mia buona vedova, che amai molto, è tanto più cara e più diletta a Dio, quanto è più sola ne[ll’] operare bene; 93
ché la Barbagia di Sardigna assai
ne le femmine sue più è pudica
che la Barbagia dov’io la lasciai. 96
perchè la Barbagia de[lla] Sardegna è assai più pudica per quel che riguarda le sue donne che la Barbagia dove io la lasciai [morendo] (=Firenze). 96
O dolce frate, che vuo’ tu ch’io dica?
Tempo futuro m’è già nel cospetto,
cui non sarà quest’ora molto antica, 99
O dolce fratello, cosa vuoi tu che io dica [di peggio]? Mi è già davanti agli occhi [un] tempo futuro, rispetto a cui non sarà molto lontana quest’ora, 99
nel qual sarà in pergamo interdetto
a le sfacciate donne fiorentine
l’andar mostrando con le poppe il petto. 102
nella quale sarà vietato da[l] pulpito alle sfacciate donne fiorentine di andare [in giro] mostrando il petto con le mammelle [scoperte]. 102
Quai barbare fuor mai, quai saracine,
cui bisognasse, per farle ir coperte,
o spiritali o altre discipline? 105
Quali [donne] barbare ci furono mai, quali saracene, per le quali fosse necessario, per farle andar coperte, sanzioni spirituali o d’altro genere? 105
Ma se le svergognate fosser certe
di quel che ‘l ciel veloce loro ammanna,
già per urlare avrian le bocche aperte; 108
Ma se le svergognate sapessero con certezza quello che il cielo a breve prepara loro, avrebbero già aperto le bocche per urlare; 108
ché se l’antiveder qui non m’inganna,
prima fien triste che le guance impeli
colui che mo si consola con nanna. 111
perchè, se la preveggenza qui non m’inganna, [esse] saranno dolenti prima che colui che ora è consolato con [la] ninna-nanna abbia le guance ricoperte di peli (=prima che un bambino diventi adulto). 111
Deh, frate, or fa che più non mi ti celi!
vedi che non pur io, ma questa gente
tutta rimira là dove ‘l sol veli». 114
Oh, fratello, ora non nasconderti più a me (=dimmi di te)! vedi che non solo io, ma tutte queste anime guardano stupite là dove veli il sole». 114
Per ch’io a lui: «Se tu riduci a mente
qual fosti meco, e qual io teco fui,
ancor fia grave il memorar presente. 117
Per cui io a lui: «Se tu richiami a[lla] memoria quale fosti con me, e quale io fui con te, il ricordar[sene] adesso sarà ancora doloroso. 117
Di quella vita mi volse costui
che mi va innanzi, l’altr’ier, quando tonda
vi si mostrò la suora di colui», 120
Da quella vita mi allontanò costui che mi precede (=Virgilio), [solo] pochi giorni fa, quando vi si mostrò rotonda la sorella di quello», 120
e ‘l sol mostrai; «costui per la profonda
notte menato m’ha d’i veri morti
con questa vera carne che ‘l seconda. 123
e mostrai il sole; «costui mi ha condotto attraverso la notte profonda dei veri morti (=dei dannati, morti spiritualmente) con questo corpo reale che lo segue. 123
Indi m’han tratto sù li suoi conforti,
salendo e rigirando la montagna
che drizza voi che ‘l mondo fece torti. 126
Di lì mi hanno tirato fuori i suoi consigli, salendo e percorrendo in tondo il monte che raddrizza voi che il mondo rese storti [moralmente]. 126
Tanto dice di farmi sua compagna,
che io sarò là dove fia Beatrice;
quivi convien che sanza lui rimagna. 129
Dice che mi offrirà [la] sua compagnia, finchè io sia giunto là dove sarà Beatrice; là è necessario che resti senza [di] lui. 129
Virgilio è questi che così mi dice»,
e addita’lo; «e quest’altro è quell’ombra
per cui scosse dianzi ogne pendice 132
lo vostro regno, che da sé lo sgombra». 133
Virgilio è colui che mi parla così», e lo additai; «e quest’altro (=Stazio) è quell’ombra per cui il vostro regno (=il Purgatorio), che lo fa uscire da sè, poco fa scosse ogni [sua] pendice». 132-133
🖥️ Parafrasi affiancata
(ideale per la visualizzazione su pc)
Canto XXIII
Mentre che li occhi per la fronda verde
ficcava io sì come far suole
chi dietro a li uccellin sua vita perde, 3
lo più che padre mi dicea: «Figliuole,
vienne oramai, ché ‘l tempo che n’è imposto
più utilmente compartir si vuole». 6
Io volsi ‘l viso, e ‘l passo non men tosto,
appresso i savi, che parlavan sìe,
che l’andar mi facean di nullo costo. 9
Ed ecco piangere e cantar s’udìe
‘Labia mea, Domine’ per modo
tal, che diletto e doglia parturìe. 12
«O dolce padre, che è quel ch’i’ odo?»,
comincia’ io; ed elli: «Ombre che vanno
forse di lor dover solvendo il nodo». 15
Sì come i peregrin pensosi fanno,
giugnendo per cammin gente non nota,
che si volgono ad essa e non restanno, 18
così di retro a noi, più tosto mota,
venendo e trapassando ci ammirava
d’anime turba tacita e devota. 21
Ne li occhi era ciascuna oscura e cava,
palida ne la faccia, e tanto scema,
che da l’ossa la pelle s’informava. 24
Non credo che così a buccia strema
Erisìttone fosse fatto secco,
per digiunar, quando più n’ebbe tema. 27
Io dicea fra me stesso pensando: ‘Ecco
la gente che perdé Ierusalemme,
quando Maria nel figlio diè di becco!’ 30
Parean l’occhiaie anella sanza gemme:
chi nel viso de li uomini legge ‘omo’
ben avria quivi conosciuta l’emme. 33
Chi crederebbe che l’odor d’un pomo
sì governasse, generando brama,
e quel d’un’acqua, non sappiendo como? 36
Già era in ammirar che sì li affama,
per la cagione ancor non manifesta
di lor magrezza e di lor trista squama, 39
ed ecco del profondo de la testa
volse a me li occhi un’ombra e guardò fiso;
poi gridò forte: «Qual grazia m’è questa?». 42
Mai non l’avrei riconosciuto al viso;
ma ne la voce sua mi fu palese
ciò che l’aspetto in sé avea conquiso. 45
Questa favilla tutta mi raccese
mia conoscenza a la cangiata labbia,
e ravvisai la faccia di Forese. 48
«Deh, non contendere a l’asciutta scabbia
che mi scolora», pregava, «la pelle,
né a difetto di carne ch’io abbia; 51
ma dimmi il ver di te, di’ chi son quelle
due anime che là ti fanno scorta;
non rimaner che tu non mi favelle!». 54
«La faccia tua, ch’io lagrimai già morta,
mi dà di pianger mo non minor doglia»,
rispuos’io lui, «veggendola sì torta. 57
Però mi dì, per Dio, che sì vi sfoglia;
non mi far dir mentr’io mi maraviglio,
ché mal può dir chi è pien d’altra voglia». 60
Ed elli a me: «De l’etterno consiglio
cade vertù ne l’acqua e ne la pianta
rimasa dietro ond’io sì m’assottiglio. 63
Tutta esta gente che piangendo canta
per seguitar la gola oltra misura,
in fame e ‘n sete qui si rifà santa. 66
Di bere e di mangiar n’accende cura
l’odor ch’esce del pomo e de lo sprazzo
che si distende su per sua verdura. 69
E non pur una volta, questo spazzo
girando, si rinfresca nostra pena:
io dico pena, e dovrìa dir sollazzo, 72
ché quella voglia a li alberi ci mena
che menò Cristo lieto a dire ‘Elì’,
quando ne liberò con la sua vena». 75
E io a lui: «Forese, da quel dì
nel qual mutasti mondo a miglior vita,
cinq’anni non son vòlti infino a qui. 78
Se prima fu la possa in te finita
di peccar più, che sovvenisse l’ora
del buon dolor ch’a Dio ne rimarita, 81
come se’ tu qua sù venuto ancora?
Io ti credea trovar là giù di sotto
dove tempo per tempo si ristora». 84
Ond’elli a me: «Sì tosto m’ha condotto
a ber lo dolce assenzo d’i martìri
la Nella mia con suo pianger dirotto. 87
Con suoi prieghi devoti e con sospiri
tratto m’ha de la costa ove s’aspetta,
e liberato m’ha de li altri giri. 90
Tanto è a Dio più cara e più diletta
la vedovella mia, che molto amai,
quanto in bene operare è più soletta; 93
ché la Barbagia di Sardigna assai
ne le femmine sue più è pudica
che la Barbagia dov’io la lasciai. 96
O dolce frate, che vuo’ tu ch’io dica?
Tempo futuro m’è già nel cospetto,
cui non sarà quest’ora molto antica, 99
nel qual sarà in pergamo interdetto
a le sfacciate donne fiorentine
l’andar mostrando con le poppe il petto. 102
Quai barbare fuor mai, quai saracine,
cui bisognasse, per farle ir coperte,
o spiritali o altre discipline? 105
Ma se le svergognate fosser certe
di quel che ‘l ciel veloce loro ammanna,
già per urlare avrian le bocche aperte; 108
ché se l’antiveder qui non m’inganna,
prima fien triste che le guance impeli
colui che mo si consola con nanna. 111
Deh, frate, or fa che più non mi ti celi!
vedi che non pur io, ma questa gente
tutta rimira là dove ‘l sol veli». 114
Per ch’io a lui: «Se tu riduci a mente
qual fosti meco, e qual io teco fui,
ancor fia grave il memorar presente. 117
Di quella vita mi volse costui
che mi va innanzi, l’altr’ier, quando tonda
vi si mostrò la suora di colui», 120
e ‘l sol mostrai; «costui per la profonda
notte menato m’ha d’i veri morti
con questa vera carne che ‘l seconda. 123
Indi m’han tratto sù li suoi conforti,
salendo e rigirando la montagna
che drizza voi che ‘l mondo fece torti. 126
Tanto dice di farmi sua compagna,
che io sarò là dove fia Beatrice;
quivi convien che sanza lui rimagna. 129
Virgilio è questi che così mi dice»,
e addita’lo; «e quest’altro è quell’ombra
per cui scosse dianzi ogne pendice 132
lo vostro regno, che da sé lo sgombra». 133
Canto XXIII
Mentre io ficcavo lo sguardo attraverso le fronde verdi così come è solito fare chi perde [la] sua vita (=il suo tempo) dietro agli uccellini (=il cacciatore), 3
colui che [per me] è più di un padre (=Virgilio) mi diceva: «Figliuolo, vieni ormai, perchè il tempo che ci è assegnato si deve ripartire più utilmente». 6
Io volsi lo sguardo, e non meno in fretta il passo, presso i [due] saggi (=i poeti Virgilio e Stazio), che parlavano così, da rendermi il cammino di nessuna fatica. 9
Ed ecco si sentì piangere e cantare ‘Labia mea, Domine’ (=‘Le labbra mie, o Signore’) in modo tale, che generò [in me] diletto e dolore. 12
Io cominciai: «O dolce padre, cos’è quello che io odo?»; ed egli: «[Sono] ombre che forse vanno sciogliendo il nodo de[l] loro debito [con Dio]». 15
Così come fanno i pellegrini assorti nei loro pensieri, quando raggiungono per via gente sconosciuta, che si voltano verso quella e non si fermano, 18
così [una] turba [di anime] silenziosa e devota, venendo da dietro di noi, [ma] muovendosi più rapidamente, e oltrepassandoci ci guardava con meraviglia. 21
Ognuna aveva gli occhi scuri e incavati, la faccia pallida, e così consumata, che la pelle prendeva forma dalle ossa (=aderiva alle ossa). 24
Non credo che Erisittone fosse rinsecchito così fino a[ll’] ultimo lembo di pelle, per il digiuno, quando ne (=del digiuno) ebbe più timore. 27
Io dicevo tra me pensando: ‘Ecco la gente (=gli Ebrei) che perse Gerusalemme, quando Maria [di Eleazaro] mise i denti nel[la carne del] figlio!’ 30
Le occhiaie sembravano anelli senza gemme: chi legge [la parola] ‘omo’ nel viso degli uomini avrebbe qui (=su quei volti) riconosciuto bene la emme. 33
Chi, non sapendo come [ciò avvenga], potrebbe credere che il profumo di un frutto e quello di un’acqua riducesse in tale stato, generando brama? 36
Già ero intento a considerare con stupore che [cosa] li affamasse così, perchè non [mi] era ancora nota la causa de[lla] loro magrezza e de[lla] loro squallida pelle squamosa, 39
quand’ ecco dal profondo delle occhiaie, un’ombra volse gli occhi a me e [mi] guardò fissamente; poi gridò forte: «Quale grazia è questa per me?». 42
Non l’avrei mai riconosciuto alla vista (=guardandolo); ma nella sua voce mi si rivelò ciò che l’aspetto in sè aveva distrutto. 45
Questa scintilla riaccese in me tutta [la] mia conoscenza di quel volto cambiato, e riconobbi la faccia di Forese. 48
[Egli] pregava: «Oh, non badare alle squame secche che mi scolorano la pelle, nè a[lla] magrezza che io mostro; 51
ma dimmi la verità [su] di te, dimmi chi sono quelle due anime che là ti fanno [da] scorta; non rimanere senza parlarmi!». 54
Io gli risposi: «La tua faccia, che io già piansi quando eri morto, mi dà ora [un] dolore non minore [tale] da piangere, vedendola così sfigurata. 57
Perciò dimmi, in nome di Dio, che [cosa] vi consuma così; non farmi parlare finchè io mi meraviglio, perchè chi è pieno di [un] altro desiderio (=del desiderio di sapere altra cosa) può rispondere malvolentieri». 60
Ed egli a me: «Dalla volontà eterna (=divina) scende [un] potere nell’acqua e nella pianta rimasta dietro [di noi], per cui io dimagrisco così. 63
Tutte queste anime che cantano e piangono per aver assecondato la gola oltre misura, tramite [la] fame e [la] sete qui tornano pure. 66
Il profumo che esce dai frutti e dallo spruzzo [d’acqua], che si spande sulla sua vegetazione, accende in noi [il] desiderio di bere e di mangiare. 69
Mentre percorriamo in tondo questo spazio, [la] nostra pena si rinnova, e non una volta sola: io dico pena, ma dovrei dire gioia, 72
perchè ci conduce verso gli alberi quella [stessa] volontà che condusse Cristo lieto a dire ‘Elì’ (=Dio mio), quando ci liberò [dal peccato originale] con il suo sangue». 75
E io a lui: «Forese, da quel giorno in cui cambiasti mondo per [una] vita migliore (=passasti a miglior vita), non sono trascorsi ancora cinque anni. 78
Se la possibilità di peccare [ancora] cessò in te prima che giungesse l’ora della sincera contrizione che ci ricongiunge a Dio (=se indugiasti a pentirti fino all’ultimo istante di vita, quando cessa la possibilità di peccare), 81
come sei tu già venuto quassù? Io credevo di trovarti laggiù di sotto (=nell’Antipurgatorio) dove [il] tempo [senza pentimento] si compensa con [altrettanto] tempo [di attesa]». 84
Per cui egli a me: «La mia Nella co[l] suo pianto dirotto mi ha condotto a bere così velocemente il dolce assenzio della pena. 87
Con [le] sue preghiere devote e con [i] sospiri mi ha liberato dalla pendice dove si aspetta (=all’Antipurgatorio), e mi ha liberato dagli altri gironi. 90
La mia buona vedova, che amai molto, è tanto più cara e più diletta a Dio, quanto è più sola ne[ll’] operare bene; 93
perchè la Barbagia de[lla] Sardegna è assai più pudica per quel che riguarda le sue donne che la Barbagia dove io la lasciai [morendo] (=Firenze). 96
O dolce fratello, cosa vuoi tu che io dica [di peggio]? Mi è già davanti agli occhi [un] tempo futuro, rispetto a cui non sarà molto lontana quest’ora, 99
nella quale sarà vietato da[l] pulpito alle sfacciate donne fiorentine di andare [in giro] mostrando il petto con le mammelle [scoperte]. 102
Quali [donne] barbare ci furono mai, quali saracene, per le quali fosse necessario, per farle andar coperte, sanzioni spirituali o d’altro genere? 105
Ma se le svergognate sapessero con certezza quello che il cielo a breve prepara loro, avrebbero già aperto le bocche per urlare; 108
perchè, se la preveggenza qui non m’inganna, [esse] saranno dolenti prima che colui che ora è consolato con [la] ninna-nanna abbia le guance ricoperte di peli (=prima che un bambino diventi adulto). 111
Oh, fratello, ora non nasconderti più a me (=dimmi di te)! vedi che non solo io, ma tutte queste anime guardano stupite là dove veli il sole». 114
Per cui io a lui: «Se tu richiami a[lla] memoria quale fosti con me, e quale io fui con te, il ricordar[sene] adesso sarà ancora doloroso. 117
Da quella vita mi allontanò costui che mi precede (=Virgilio), [solo] pochi giorni fa, quando vi si mostrò rotonda la sorella di quello», 120
e mostrai il sole; «costui mi ha condotto attraverso la notte profonda dei veri morti (=dei dannati, morti spiritualmente) con questo corpo reale che lo segue. 123
Di lì mi hanno tirato fuori i suoi consigli, salendo e percorrendo in tondo il monte che raddrizza voi che il mondo rese storti [moralmente]. 126
Dice che mi offrirà [la] sua compagnia, finchè io sia giunto là dove sarà Beatrice; là è necessario che resti senza [di] lui. 129
Virgilio è colui che mi parla così», e lo additai; «e quest’altro (=Stazio) è quell’ombra per cui il vostro regno (=il Purgatorio), che lo fa uscire da sè, poco fa scosse ogni [sua] pendice». 132-133