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Canto VII
Poscia che l’accoglienze oneste e liete
furo iterate tre e quattro volte,
Sordel si trasse, e disse: «Voi, chi siete?». 3
Dopo che le accoglienze cortesi e liete furono ripetute tre e quattro volte, Sordello si ritrasse, e disse: «Voi, chi siete?» 3
«Anzi che a questo monte fosser volte
l’anime degne di salire a Dio,
fur l’ossa mie per Ottavian sepolte. 6
«Le mie ossa furono sepolte da (=per ordine di) Ottaviano, prima che le anime degne di salire a Dio fossero avviate verso questo monte (=prima della nascita di Cristo). 6
Io son Virgilio; e per null’altro rio
lo ciel perdei che per non aver fé».
Così rispuose allora il duca mio. 9
Io sono Virgilio; e ho perso il cielo (=il Paradiso) per nessun'altra colpa che per non aver [avuto] fede [in Cristo]». Così rispose allora la mia guida. 9
Qual è colui che cosa innanzi sé
sùbita vede ond’e’ si maraviglia,
che crede e non, dicendo «Ella è... non è...», 12
Come colui che all’improvviso vede davanti [a] sé [una] cosa per cui egli si meraviglia, di modo che crede e non [crede], dicendo: «Ella è ... non è…», 12
tal parve quelli; e poi chinò le ciglia,
e umilmente ritornò ver’ lui,
e abbracciòl là ‘ve ‘l minor s’appiglia. 15
tale apparve quello; e poi abbassò gli occhi, e umilmente tornò verso [di] lui, e lo abbracciò là dove si stringe il minore [in dignità] (=lo abbracciò al petto o alle ginocchia). 15
«O gloria di Latin», disse, «per cui
mostrò ciò che potea la lingua nostra,
o pregio etterno del loco ond’io fui, 18
Disse: «O gloria de[i] Latini per opera del quale la nostra lingua mostrò ciò che poteva [esprimere], o onore eterno del luogo dove io nacqui (=di Mantova), 18
qual merito o qual grazia mi ti mostra?
S’io son d’udir le tue parole degno,
dimmi se vien d’inferno, e di qual chiostra». 21
quale [mio] merito o quale grazia [divina] ti mostra a me? Se io sono degno di udire le tue parole, dimmi se vieni da[ll'] Inferno, e da quale cerchio». 21
«Per tutt’i cerchi del dolente regno»,
rispuose lui, «son io di qua venuto;
virtù del ciel mi mosse, e con lei vegno. 24
Egli rispose: «Io sono arrivato qui attraverso tutti i cerchi del regno doloroso; [una] potenza celeste mi indusse [a venire], e procedo con lei. 24
Non per far, ma per non fare ho perduto
a veder l’alto Sol che tu disiri
e che fu tardi per me conosciuto. 27
Ho perso [la possibilità] di vedere l'alto Sole (=Dio) che tu desideri e che fu conosciuto da me [troppo] tardi (=dopo essere morto), non per aver fatto [qualcosa di male], ma per non aver fatto (=per non aver avuto fede in Cristo). 27
Luogo è là giù non tristo di martìri,
ma di tenebre solo, ove i lamenti
non suonan come guai, ma son sospiri. 30
Laggiù (=nell'Inferno) c'è [un] luogo (=il Limbo) non rattristato da tormenti [veri e propri], ma solo da tenebre, dove i lamenti non risuonano come grida di dolore, ma sono sospiri. 30
Quivi sto io coi pargoli innocenti
dai denti morsi de la morte avante
che fosser da l’umana colpa essenti; 33
Qui io sto coi bambini innocenti morsi dai denti della morte (=morti) prima che fossero liberati dalla colpa dell’uomo (=dal peccato originale); 33
quivi sto io con quei che le tre sante
virtù non si vestiro, e sanza vizio
conobber l’altre e seguir tutte quante. 36
Qui io sto con coloro che non si vestirono delle tre sante virtù (= delle virtù teologali), ma [che] senza difetti conobbero le altre (=le virtù cardinali) e [le] seguirono tutte quante. 36
Ma se tu sai e puoi, alcuno indizio
dà noi per che venir possiam più tosto
là dove purgatorio ha dritto inizio». 39
Ma se tu sai e puoi, dacci qualche indicazione affinchè possiamo giungere più rapidamente là dove [il] Purgatorio ha veramente inizio». 39
Rispuose: «Loco certo non c’è posto;
licito m’è andar suso e intorno;
per quanto ir posso, a guida mi t’accosto. 42
Rispose: «Non ci è imposta [una] sede fissa; mi è consentito andare sopra e intorno; per quanto posso procedere, mi affianco a te come guida. 42
Ma vedi già come dichina il giorno,
e andar sù di notte non si puote;
però è buon pensar di bel soggiorno. 45
Ma vedi ormai come il giorno declina (=si esaurisce), e non si può salire di notte; perciò è bene pensare a [trovare] un luogo di sosta piacevole. 45
Anime sono a destra qua remote:
se mi consenti, io ti merrò ad esse,
e non sanza diletto ti fier note». 48
Ci sono [delle] anime appartate qui a destra: se me [lo] consenti, io ti condurrò da loro, e le conoscerai non senza piacere». 48
«Com’è ciò?», fu risposto. «Chi volesse
salir di notte, fora elli impedito
d’altrui, o non sarria ché non potesse?». 51
Fu risposto [da Virgilio]: «Com’è questo [fatto]? Chi volesse salire di notte, costui sarebbe ostacolato da qualcuno, o non salirebbe perchè non potrebbe (=non ne avrebbe la forza)?» 51
E ‘l buon Sordello in terra fregò ‘l dito,
dicendo: «Vedi? sola questa riga
non varcheresti dopo ‘l sol partito: 54
E il valente Sordello sfregò il dito in terra [per tracciare una linea], dicendo: «Vedi? dopo il tramonto del sole, non potresti varcare [neppure] questa sola riga: 54
non però ch’altra cosa desse briga,
che la notturna tenebra, ad ir suso;
quella col nonpoder la voglia intriga. 57
non perché qualcosa, se non l’oscurità notturna, sia di impedimento al salire; quella (=l’oscurità) con l’impossibilità [del salire] impedisce la volontà. 57
Ben si poria con lei tornare in giuso
e passeggiar la costa intorno errando,
mentre che l’orizzonte il dì tien chiuso». 60
Con lei (=con l’oscurità) si potrebbe invece tornare in basso e camminare intorno alla costa [del monte] vagando, finché l'orizzonte tiene chiuso [sotto di sè] il giorno (=il sole è sotto l’orizzonte)». 60
Allora il mio segnor, quasi ammirando,
«Menane», disse, «dunque là ‘ve dici
ch’aver si può diletto dimorando». 63
Allora il mio maestro, come meravigliandosi, disse: «Portaci dunque là dove dici che si può provare piacere sostando». 63
Poco allungati c’eravam di lici,
quand’io m’accorsi che ‘l monte era scemo,
a guisa che i vallon li sceman quici. 66
Ci eravamo allontanati [di] poco da lì, quando io mi accorsi che il monte era incavato, come i valloni li (=i fianchi dei monti) incavano qui (=sulla Terra). 66
«Colà», disse quell’ombra, «n’anderemo
dove la costa face di sé grembo;
e là il novo giorno attenderemo». 69
Quell’ombra (=Sordello) disse: «Noi andremo là dove la costa [del monte] fa di sé (=della sua stessa parete) un grembo (=un avvallamento); e là attenderemo il nuovo giorno». 69
Tra erto e piano era un sentiero schembo,
che ne condusse in fianco de la lacca,
là dove più ch’a mezzo muore il lembo. 72
Tra [la parete] verticale e [la costa] orizzontale c'era un sentiero obliquo, che ci condusse su[l] fianco dell'avvallamento, là dove il [suo] margine si abbassa più che [la] metà [della sua altezza]. 72
Oro e argento fine, cocco e biacca,
indaco, legno lucido e sereno,
fresco smeraldo in l’ora che si fiacca, 75
[Il colore dell’] oro e [dell’] argento puro, [il] carminio e [il colore della] biacca (=il bianco), [l’azzurro dell’] indaco lucente e color del cielo sereno, [il colore] vivido [dello] smeraldo nel momento in cui si spezza, 75
da l’erba e da li fior, dentr’a quel seno
posti, ciascun saria di color vinto,
come dal suo maggiore è vinto il meno. 78
ciascuno [di questi], posto dentro a quella valletta, sarebbe superato in quanto a [purezza] de[l] colore dall'erba e dai fiori, come il minore è superato dal suo maggiore. 78
Non avea pur natura ivi dipinto,
ma di soavità di mille odori
vi facea uno incognito e indistinto. 81
[La] natura lì non aveva solo dipinto, ma da[lla] soavità di mille profumi ne creava uno sconosciuto e indefinito. 81
’Salve, Regina’ in sul verde e ‘n su’ fiori
quindi seder cantando anime vidi,
che per la valle non parean di fuori. 84
Da qui vidi [delle] anime che sedendo sull'erba e sui fiori cantavano 'Salve, Regina', [anime] che non si vedevano da fuori a causa dell’avvallamento. 84
«Prima che ‘l poco sole omai s’annidi»,
cominciò ‘l Mantoan che ci avea vòlti,
«tra color non vogliate ch’io vi guidi. 87
Il Mantovano che ci aveva condotti [lì] (=Sordello) cominciò: «Prima che quel poco sole [rimasto] torni ormai al suo nido (=tramonti), non vogliate che io vi porti tra coloro. 87
Di questo balzo meglio li atti e ‘ volti
conoscerete voi di tutti quanti,
che ne la lama giù tra essi accolti. 90
Da questa piccola altura voi conoscerete i gesti e i volti di tutti quanti meglio, che giù nell'avvallamento accolti tra loro. 90
Colui che più siede alto e fa sembianti
d’aver negletto ciò che far dovea,
e che non move bocca a li altrui canti, 93
Rodolfo imperador fu, che potea
sanar le piaghe c’hanno Italia morta,
sì che tardi per altri si ricrea. 96
Colui che siede più [in] alto e mostra nell’ atteggiamento di aver trascurato ciò che doveva fare (=il suo dovere), e che non apre bocca ai canti degli altri, fu [l'] imperatore Rodolfo (=Rodolfo I d’Asburgo), che avrebbe potuto risanare le piaghe che hanno distrutto l'Italia, così che [ormai troppo] tardi sarà rimessa in sesto da altri. 93-96
L’altro che ne la vista lui conforta,
resse la terra dove l’acqua nasce
che Molta in Albia, e Albia in mar ne porta: 99
L'altro, che sembra confortarlo, governò la terra (=la Boemia) dove nascono le acque che [la] Moldava porta ne[ll'] Elba, e [l'] Elba porta da qui ne[l] mare: 99
Ottacchero ebbe nome, e ne le fasce
fu meglio assai che Vincislao suo figlio
barbuto, cui lussuria e ozio pasce. 102
ebbe nome Ottocaro (=Ottocaro di Boemia), e in fasce [già] (=fin da bambino) fu assai più valente di suo figlio Venceslao quando aveva la barba (=da adulto), il quale si nutre di lussuria e ozio. 102
E quel nasetto che stretto a consiglio
par con colui c’ha sì benigno aspetto,
morì fuggendo e disfiorando il giglio: 105
E quello dal piccolo naso (=Filippo III l'Ardito), che sembra unito a colloquio con colui che ha [un] aspetto così benevolo, morì fuggendo e sciupando (=disonorando) il giglio [di Francia] (=perse la Sicilia): 105
guardate là come si batte il petto!
L’altro vedete c’ha fatto a la guancia
de la sua palma, sospirando, letto. 108
guardate là come si batte il petto! [E] osservate l'altro (=Enrico I di Navarra) che, sospirando, con la sua mano ha formato [un] letto per la guancia (= ha appoggiato la guancia sul palmo della mano). 108
Padre e suocero son del mal di Francia:
sanno la vita sua viziata e lorda,
e quindi viene il duol che sì li lancia. 111
Sono padre e suocero del male de[lla] Francia (=di Filippo il Bello): conoscono la sua vita viziosa e sozza, e da qui proviene il dolore che li trafigge così. 111
Quel che par sì membruto e che s’accorda,
cantando, con colui dal maschio naso,
d’ogne valor portò cinta la corda; 114
Quello (=Pietro III d'Aragona) che appare così nerboruto e che, cantando, si accorda con quell'[altro] dal naso virile (=Carlo I d'Angiò) fu adorno di ogni virtù; 114
e se re dopo lui fosse rimaso
lo giovanetto che retro a lui siede,
ben andava il valor di vaso in vaso, 117
e se dopo [di] lui fosse rimasto re il giovinetto che gli siede dietro, la virtù sarebbe egregiamente passata di vaso in vaso (=di padre in figlio), 117
che non si puote dir de l’altre rede;
Iacomo e Federigo hanno i reami;
del retaggio miglior nessun possiede. 120
la qual cosa non si può dire degli altri eredi; Giacomo e Federico (=Giacomo II e Federico II) hanno i regni; [ma] nessuno [dei due] possiede [il] meglio dell’eredità (=la virtù del padre). 120
Rade volte risurge per li rami
l’umana probitate; e questo vole
quei che la dà, perché da lui si chiami. 123
Rare volte la virtù umana rinasce nei rami (=nei discendenti); e questo vuole colui che la dà (=Dio), perché [la] si riconosca come derivata [soltanto] da lui. 123
Anche al nasuto vanno mie parole
non men ch’a l’altro, Pier, che con lui canta,
onde Puglia e Proenza già si dole. 126
Anche al nasuto (=a Carlo d’Angiò) vanno [le] mie parole non meno che all’altro, Pietro (=Pietro d’Aragona), che canta con lui, per la qual cosa (=per tale degenerazione) [la] Puglia (=il Regno di Napoli) e [la] Provenza (=la contea di Provenza) già si dolgono. 126
Tant’è del seme suo minor la pianta,
quanto più che Beatrice e Margherita,
Costanza di marito ancor si vanta. 129
La pianta (=il figlio Carlo II) è tanto inferiore al suo seme (=al padre Carlo I), quanto Costanza (=Costanza d’Altavilla) si vanta (=ha motivo di vantarsi) ancora de[l] marito (=Pietro III d’Aragona) più di [quanto ne avessero] Beatrice (=Beatrice di Provenza) e Margherita (=Margherita di Borgogna). 129
Vedete il re de la semplice vita
seder là solo, Arrigo d’Inghilterra:
questi ha ne’ rami suoi migliore uscita. 132
Osservate il re dalla vita semplice seduto là [da] solo, Enrico d’Inghilterra (=Enrico III d'Inghilterra): questi ha [una] miglior riuscita nei suoi rami (=nei suoi eredi). 132
Quel che più basso tra costor s’atterra,
guardando in suso, è Guiglielmo marchese,
per cui e Alessandria e la sua guerra 135
fa pianger Monferrato e Canavese». 136
[E] quello che siede per terra più [in] basso tra costoro, guardando in alto, è [il] marchese Guglielmo (=Guglielmo VII del Monferrato), a causa del quale sia Alessandria sia la sua guerra (=la guerra della città contro i suoi discendenti) fanno piangere [il] Monferrato e [il] Canavese (=addolorano i sudditi)». 135-136
🖥️ Parafrasi affiancata
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Canto VII
Poscia che l’accoglienze oneste e liete
furo iterate tre e quattro volte,
Sordel si trasse, e disse: «Voi, chi siete?». 3
«Anzi che a questo monte fosser volte
l’anime degne di salire a Dio,
fur l’ossa mie per Ottavian sepolte. 6
Io son Virgilio; e per null’altro rio
lo ciel perdei che per non aver fé».
Così rispuose allora il duca mio. 9
Qual è colui che cosa innanzi sé
sùbita vede ond’e’ si maraviglia,
che crede e non, dicendo «Ella è... non è...», 12
tal parve quelli; e poi chinò le ciglia,
e umilmente ritornò ver’ lui,
e abbracciòl là ‘ve ‘l minor s’appiglia. 15
«O gloria di Latin», disse, «per cui
mostrò ciò che potea la lingua nostra,
o pregio etterno del loco ond’io fui, 18
qual merito o qual grazia mi ti mostra?
S’io son d’udir le tue parole degno,
dimmi se vien d’inferno, e di qual chiostra». 21
«Per tutt’i cerchi del dolente regno»,
rispuose lui, «son io di qua venuto;
virtù del ciel mi mosse, e con lei vegno. 24
Non per far, ma per non fare ho perduto
a veder l’alto Sol che tu disiri
e che fu tardi per me conosciuto. 27
Luogo è là giù non tristo di martìri,
ma di tenebre solo, ove i lamenti
non suonan come guai, ma son sospiri. 30
Quivi sto io coi pargoli innocenti
dai denti morsi de la morte avante
che fosser da l’umana colpa essenti; 33
quivi sto io con quei che le tre sante
virtù non si vestiro, e sanza vizio
conobber l’altre e seguir tutte quante. 36
Ma se tu sai e puoi, alcuno indizio
dà noi per che venir possiam più tosto
là dove purgatorio ha dritto inizio». 39
Rispuose: «Loco certo non c’è posto;
licito m’è andar suso e intorno;
per quanto ir posso, a guida mi t’accosto. 42
Ma vedi già come dichina il giorno,
e andar sù di notte non si puote;
però è buon pensar di bel soggiorno. 45
Anime sono a destra qua remote:
se mi consenti, io ti merrò ad esse,
e non sanza diletto ti fier note». 48
«Com’è ciò?», fu risposto. «Chi volesse
salir di notte, fora elli impedito
d’altrui, o non sarria ché non potesse?». 51
E ‘l buon Sordello in terra fregò ‘l dito,
dicendo: «Vedi? sola questa riga
non varcheresti dopo ‘l sol partito: 54
non però ch’altra cosa desse briga,
che la notturna tenebra, ad ir suso;
quella col nonpoder la voglia intriga. 57
Ben si poria con lei tornare in giuso
e passeggiar la costa intorno errando,
mentre che l’orizzonte il dì tien chiuso». 60
Allora il mio segnor, quasi ammirando,
«Menane», disse, «dunque là ‘ve dici
ch’aver si può diletto dimorando». 63
Poco allungati c’eravam di lici,
quand’io m’accorsi che ‘l monte era scemo,
a guisa che i vallon li sceman quici. 66
«Colà», disse quell’ombra, «n’anderemo
dove la costa face di sé grembo;
e là il novo giorno attenderemo». 69
Tra erto e piano era un sentiero schembo,
che ne condusse in fianco de la lacca,
là dove più ch’a mezzo muore il lembo. 72
Oro e argento fine, cocco e biacca,
indaco, legno lucido e sereno,
fresco smeraldo in l’ora che si fiacca, 75
da l’erba e da li fior, dentr’a quel seno
posti, ciascun saria di color vinto,
come dal suo maggiore è vinto il meno. 78
Non avea pur natura ivi dipinto,
ma di soavità di mille odori
vi facea uno incognito e indistinto. 81
’Salve, Regina’ in sul verde e ‘n su’ fiori
quindi seder cantando anime vidi,
che per la valle non parean di fuori. 84
«Prima che ‘l poco sole omai s’annidi»,
cominciò ‘l Mantoan che ci avea vòlti,
«tra color non vogliate ch’io vi guidi. 87
Di questo balzo meglio li atti e ‘ volti
conoscerete voi di tutti quanti,
che ne la lama giù tra essi accolti. 90
Colui che più siede alto e fa sembianti
d’aver negletto ciò che far dovea,
e che non move bocca a li altrui canti, 93
Rodolfo imperador fu, che potea
sanar le piaghe c’hanno Italia morta,
sì che tardi per altri si ricrea. 96
L’altro che ne la vista lui conforta,
resse la terra dove l’acqua nasce
che Molta in Albia, e Albia in mar ne porta: 99
Ottacchero ebbe nome, e ne le fasce
fu meglio assai che Vincislao suo figlio
barbuto, cui lussuria e ozio pasce. 102
E quel nasetto che stretto a consiglio
par con colui c’ha sì benigno aspetto,
morì fuggendo e disfiorando il giglio: 105
guardate là come si batte il petto!
L’altro vedete c’ha fatto a la guancia
de la sua palma, sospirando, letto. 108
Padre e suocero son del mal di Francia:
sanno la vita sua viziata e lorda,
e quindi viene il duol che sì li lancia. 111
Quel che par sì membruto e che s’accorda,
cantando, con colui dal maschio naso,
d’ogne valor portò cinta la corda; 114
e se re dopo lui fosse rimaso
lo giovanetto che retro a lui siede,
ben andava il valor di vaso in vaso, 117
che non si puote dir de l’altre rede;
Iacomo e Federigo hanno i reami;
del retaggio miglior nessun possiede. 120
Rade volte risurge per li rami
l’umana probitate; e questo vole
quei che la dà, perché da lui si chiami. 123
Anche al nasuto vanno mie parole
non men ch’a l’altro, Pier, che con lui canta,
onde Puglia e Proenza già si dole. 126
Tant’è del seme suo minor la pianta,
quanto più che Beatrice e Margherita,
Costanza di marito ancor si vanta. 129
Vedete il re de la semplice vita
seder là solo, Arrigo d’Inghilterra:
questi ha ne’ rami suoi migliore uscita. 132
Quel che più basso tra costor s’atterra,
guardando in suso, è Guiglielmo marchese,
per cui e Alessandria e la sua guerra 135
fa pianger Monferrato e Canavese». 136
Canto VII
Dopo che le accoglienze cortesi e liete furono ripetute tre e quattro volte, Sordello si ritrasse, e disse: «Voi, chi siete?» 3
«Le mie ossa furono sepolte da (=per ordine di) Ottaviano, prima che le anime degne di salire a Dio fossero avviate verso questo monte (=prima della nascita di Cristo). 6
Io sono Virgilio; e ho perso il cielo (=il Paradiso) per nessun'altra colpa che per non aver [avuto] fede [in Cristo]». Così rispose allora la mia guida. 9
Come colui che all’improvviso vede davanti [a] sé [una] cosa per cui egli si meraviglia, di modo che crede e non [crede], dicendo: «Ella è ... non è…», 12
tale apparve quello; e poi abbassò gli occhi, e umilmente tornò verso [di] lui, e lo abbracciò là dove si stringe il minore [in dignità] (=lo abbracciò al petto o alle ginocchia). 15
Disse: «O gloria de[i] Latini per opera del quale la nostra lingua mostrò ciò che poteva [esprimere], o onore eterno del luogo dove io nacqui (=di Mantova), 18
quale [mio] merito o quale grazia [divina] ti mostra a me? Se io sono degno di udire le tue parole, dimmi se vieni da[ll'] Inferno, e da quale cerchio». 21
Egli rispose: «Io sono arrivato qui attraverso tutti i cerchi del regno doloroso; [una] potenza celeste mi indusse [a venire], e procedo con lei. 24
Ho perso [la possibilità] di vedere l'alto Sole (=Dio) che tu desideri e che fu conosciuto da me [troppo] tardi (=dopo essere morto), non per aver fatto [qualcosa di male], ma per non aver fatto (=per non aver avuto fede in Cristo). 27
Laggiù (=nell'Inferno) c'è [un] luogo (=il Limbo) non rattristato da tormenti [veri e propri], ma solo da tenebre, dove i lamenti non risuonano come grida di dolore, ma sono sospiri. 30
Qui io sto coi bambini innocenti morsi dai denti della morte (=morti) prima che fossero liberati dalla colpa dell’uomo (=dal peccato originale); 33
Qui io sto con coloro che non si vestirono delle tre sante virtù (= delle virtù teologali), ma [che] senza difetti conobbero le altre (=le virtù cardinali) e [le] seguirono tutte quante. 36
Ma se tu sai e puoi, dacci qualche indicazione affinchè possiamo giungere più rapidamente là dove [il] Purgatorio ha veramente inizio». 39
Rispose: «Non ci è imposta [una] sede fissa; mi è consentito andare sopra e intorno; per quanto posso procedere, mi affianco a te come guida. 42
Ma vedi ormai come il giorno declina (=si esaurisce), e non si può salire di notte; perciò è bene pensare a [trovare] un luogo di sosta piacevole. 45
Ci sono [delle] anime appartate qui a destra: se me [lo] consenti, io ti condurrò da loro, e le conoscerai non senza piacere». 48
Fu risposto [da Virgilio]: «Com’è questo [fatto]? Chi volesse salire di notte, costui sarebbe ostacolato da qualcuno, o non salirebbe perchè non potrebbe (=non ne avrebbe la forza)?» 51
E il valente Sordello sfregò il dito in terra [per tracciare una linea], dicendo: «Vedi? dopo il tramonto del sole, non potresti varcare [neppure] questa sola riga: 54
non perché qualcosa, se non l’oscurità notturna, sia di impedimento al salire; quella (=l’oscurità) con l’impossibilità [del salire] impedisce la volontà. 57
Con lei (=con l’oscurità) si potrebbe invece tornare in basso e camminare intorno alla costa [del monte] vagando, finché l'orizzonte tiene chiuso [sotto di sè] il giorno (=il sole è sotto l’orizzonte)». 60
Allora il mio maestro, come meravigliandosi, disse: «Portaci dunque là dove dici che si può provare piacere sostando». 63
Ci eravamo allontanati [di] poco da lì, quando io mi accorsi che il monte era incavato, come i valloni li (=i fianchi dei monti) incavano qui (=sulla Terra). 66
Quell’ombra (=Sordello) disse: «Noi andremo là dove la costa [del monte] fa di sé (=della sua stessa parete) un grembo (=un avvallamento); e là attenderemo il nuovo giorno». 69
Tra [la parete] verticale e [la costa] orizzontale c'era un sentiero obliquo, che ci condusse su[l] fianco dell'avvallamento, là dove il [suo] margine si abbassa più che [la] metà [della sua altezza]. 72
[Il colore dell’] oro e [dell’] argento puro, [il] carminio e [il colore della] biacca (=il bianco), [l’azzurro dell’] indaco lucente e color del cielo sereno, [il colore] vivido [dello] smeraldo nel momento in cui si spezza, 75
ciascuno [di questi], posto dentro a quella valletta, sarebbe superato in quanto a [purezza] de[l] colore dall'erba e dai fiori, come il minore è superato dal suo maggiore. 78
[La] natura lì non aveva solo dipinto, ma da[lla] soavità di mille profumi ne creava uno sconosciuto e indefinito. 81
Da qui vidi [delle] anime che sedendo sull'erba e sui fiori cantavano 'Salve, Regina', [anime] che non si vedevano da fuori a causa dell’avvallamento. 84
Il Mantovano che ci aveva condotti [lì] (=Sordello) cominciò: «Prima che quel poco sole [rimasto] torni ormai al suo nido (=tramonti), non vogliate che io vi porti tra coloro. 87
Da questa piccola altura voi conoscerete i gesti e i volti di tutti quanti meglio, che giù nell'avvallamento accolti tra loro. 90
Colui che siede più [in] alto e mostra nell’ atteggiamento di aver trascurato ciò che doveva fare (=il suo dovere), e che non apre bocca ai canti degli altri, 93
fu [l'] imperatore Rodolfo (=Rodolfo I d’Asburgo), che avrebbe potuto risanare le piaghe che hanno distrutto l'Italia, così che [ormai troppo] tardi sarà rimessa in sesto da altri. 96
L'altro, che sembra confortarlo, governò la terra (=la Boemia) dove nascono le acque che [la] Moldava porta ne[ll'] Elba, e [l'] Elba porta da qui ne[l] mare: 99
ebbe nome Ottocaro (=Ottocaro di Boemia), e in fasce [già] (=fin da bambino) fu assai più valente di suo figlio Venceslao quando aveva la barba (=da adulto), il quale si nutre di lussuria e ozio. 102
E quello dal piccolo naso (=Filippo III l'Ardito), che sembra unito a colloquio con colui che ha [un] aspetto così benevolo, morì fuggendo e sciupando (=disonorando) il giglio [di Francia] (=perse la Sicilia): 105
guardate là come si batte il petto! [E] osservate l'altro (=Enrico I di Navarra) che, sospirando, con la sua mano ha formato [un] letto per la guancia (= ha appoggiato la guancia sul palmo della mano). 108
Sono padre e suocero del male de[lla] Francia (=di Filippo il Bello): conoscono la sua vita viziosa e sozza, e da qui proviene il dolore che li trafigge così. 111
Quello (=Pietro III d'Aragona) che appare così nerboruto e che, cantando, si accorda con quell'[altro] dal naso virile (=Carlo I d'Angiò) fu adorno di ogni virtù; 114
e se dopo [di] lui fosse rimasto re il giovinetto che gli siede dietro, la virtù sarebbe egregiamente passata di vaso in vaso (=di padre in figlio), 117
la qual cosa non si può dire degli altri eredi; Giacomo e Federico (=Giacomo II e Federico II) hanno i regni; [ma] nessuno [dei due] possiede [il] meglio dell’eredità (=la virtù del padre). 120
Rare volte la virtù umana rinasce nei rami (=nei discendenti); e questo vuole colui che la dà (=Dio), perché [la] si riconosca come derivata [soltanto] da lui. 123
Anche al nasuto (=a Carlo d’Angiò) vanno [le] mie parole non meno che all’altro, Pietro (=Pietro d’Aragona), che canta con lui, per la qual cosa (=per tale degenerazione) [la] Puglia (=il Regno di Napoli) e [la] Provenza (=la contea di Provenza) già si dolgono. 126
La pianta (=il figlio Carlo II) è tanto inferiore al suo seme (=al padre Carlo I), quanto Costanza (=Costanza d’Altavilla) si vanta (=ha motivo di vantarsi) ancora de[l] marito (=Pietro III d’Aragona) più di [quanto ne avessero] Beatrice (=Beatrice di Provenza) e Margherita (=Margherita di Borgogna). 129
Osservate il re dalla vita semplice seduto là [da] solo, Enrico d’Inghilterra (=Enrico III d'Inghilterra): questi ha [una] miglior riuscita nei suoi rami (=nei suoi eredi). 132
[E] quello che siede per terra più [in] basso tra costoro, guardando in alto, è [il] marchese Guglielmo (=Guglielmo VII del Monferrato), a causa del quale sia Alessandria sia la sua guerra (=la guerra della città contro i suoi discendenti) 135
fanno piangere [il] Monferrato e [il] Canavese (=addolorano i sudditi)». 136