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Canto XV
Quanto tra l’ultimar de l’ora terza
e ‘l principio del dì par de la spera
che sempre a guisa di fanciullo scherza 3
tanto pareva già inver’ la sera
essere al sol del suo corso rimaso;
vespero là, e qui mezza notte era. 6
Sembrava che al sole, [per giungere] verso la sera, fosse [ormai] rimasto tanto del suo percorso, quanto [ne] appare della sfera [solare], che scherza sempre come [un] fanciullo, tra l’inizio del giorno (=le 6) e la fine dell’ora terza (=le 9) (=mancavano altre tre ore di luce solare prima del tramonto: erano le quindici); là (=nel Purgatorio) era [il] vespero, e qui (=in Italia) mezzanotte. 3-6
E i raggi ne ferien per mezzo ‘l naso,
perché per noi girato era sì ‘l monte,
che già dritti andavamo inver’ l’occaso, 9
E i raggi ci colpivano in pieno volto, perchè il monte era stato da noi così aggirato, che ormai eravamo indirizzati verso occidente, 9
quand’io senti’ a me gravar la fronte
a lo splendore assai più che di prima,
e stupor m’eran le cose non conte; 12
quando io mi sentii gli occhi gravati (=costretti ad abbassarsi) dallo splendore molto più di prima, e [queste] cose non conosciute erano per me [motivo di] stupore; 12
ond’io levai le mani inver’ la cima
de le mie ciglia, e fecimi ‘l solecchio,
che del soverchio visibile lima. 15
per cui io sollevai le mani verso la sommità delle mie ciglia (=sopra gli occhi), e feci [con le mani quella specie di] paralume (=mi riparai la vista), con cui si attenua l’eccesso di luce. 15
Come quando da l’acqua o da lo specchio
salta lo raggio a l’opposita parte,
salendo su per lo modo parecchio 18
Come quando un raggio [di luce], dall’acqua o dallo specchio, rimbalza nella parte opposta, salendo in modo simile (=in base alla stessa legge) 18
a quel che scende, e tanto si diparte
dal cader de la pietra in igual tratta,
sì come mostra esperienza e arte; 21
a quello con cui discende e si allontana dalla perpendicolare per [un] tratto uguale [a quello del raggio incidente], così come mostrano [l’] esperienza e [la] scienza; 21
così mi parve da luce rifratta
quivi dinanzi a me esser percosso;
per che a fuggir la mia vista fu ratta. 24
così mi parve di essere colpito da [una] luce riflessa lì davanti a me; per cui la mia vista fu veloce a fuggir[la] (=a sottrarvisi). 24
«Che è quel, dolce padre, a che non posso
schermar lo viso tanto che mi vaglia»,
diss’io, «e pare inver’ noi esser mosso?». 27
Io dissi: «Che [luce] è, dolce padre, [quella] da cui non posso riparare la vista in modo che mi giovi (=che io riesca a sostenerla) e [che] sembra muoversi verso [di] noi?». 27
«Non ti maravigliar s’ancor t’abbaglia
la famiglia del cielo», a me rispuose:
«messo è che viene ad invitar ch’om saglia. 30
Mi rispose: «Non meravigliarti se la famiglia celeste (=gli angeli) ti abbaglia ancora: è un messaggero che viene a invitare affinchè si salga. 30
Tosto sarà ch’a veder queste cose
non ti fia grave, ma fieti diletto
quanto natura a sentir ti dispuose». 33
Presto accadrà che non ti sarà [più] difficile vedere queste cose, ma sarà per te [motivo di] diletto quanto [la] natura ti dispose a percepire (=quanto la tua disposizione naturale ti ha fatto capace di sentire). 33
Poi giunti fummo a l’angel benedetto,
con lieta voce disse: «Intrate quinci
ad un scaleo vie men che li altri eretto». 36
Dopo che fummo giunti presso l’angelo benedetto, [questi] con voce lieta disse: «Entrate di qui verso una scala meno ripida delle altre». 36
Noi montavam, già partiti di linci,
e ‘Beati misericordes!’ fue
cantato retro, e 'Godi tu che vinci!'. 39
Noi salivamo, ormai lontani da lì, quando dietro [di noi] fu cantato ‘Beati misericordes!’ (= 'Beati i misericordiosi'), e 'Godi tu che vinci!'. 39
Lo mio maestro e io soli amendue
suso andavamo; e io pensai, andando,
prode acquistar ne le parole sue; 42
Il mio maestro e io soli salivamo entrambi; e io pensai, mentre procedevo, di trarre giovamento dalle sue parole; 42
e dirizza’mi a lui sì dimandando:
«Che volse dir lo spirto di Romagna,
e ‘divieto’ e ‘consorte’ menzionando?». 45
allora mi indirizzai a lui domandando: «Che [cosa] ha voluto dire lo spirito di Romagna (=Guido del Duca) parlando [di] ‘divieto’ e [di]‘consorte’?». 45
Per ch’elli a me: «Di sua maggior magagna
conosce il danno; e però non s’ammiri
se ne riprende perché men si piagna. 48
Per cui egli a me: «[Egli] conosce gli effetti dannosi de[l] suo vizio maggiore; e perciò non ci si meravigli se ammonisce [gli uomini] di essa [invidia] perchè meno si soffra [per espiare]. 48
Perché s’appuntano i vostri disiri
dove per compagnia parte si scema,
invidia move il mantaco a’ sospiri. 51
[L’] invidia muove il mantice (=gonfia i polmoni) ai vostri sospiri (=vi fa sospirare), poichè i vostri desideri si rivolgono dove [la] parte [di ciascuno] diminuisce per [la] partecipazione [di altri] (=si rivolgono verso i beni terreni). 51
Ma se l’amor de la spera supprema
torcesse in suso il disiderio vostro,
non vi sarebbe al petto quella tema; 54
Ma se l’amore per la sfera suprema (=per l’Empireo: per i beni spirituali) piegasse i vostri desideri verso l’alto, non ci sarebbe quel timore (=il timore che diminuisca la vostra porzione di bene) nel [vostro] animo; 54
ché, per quanti si dice più lì ‘nostro’,
tanto possiede più di ben ciascuno,
e più di caritate arde in quel chiostro». 57
perchè, lì (=in Cielo) da quanti più si dice ‘nostro’, tanto più bene ciascuno possiede, e [tanta] più carità arde in quella comunità». 57
«Io son d’esser contento più digiuno»,
diss’io, «che se mi fosse pria taciuto,
e più di dubbio ne la mente aduno. 60
Io dissi: «Io sono più lontano d[all]’essere appagato che se prima avessi taciuto, e accolgo nella mente [un] dubbio maggiore. 60
Com’esser puote ch’un ben, distributo
in più posseditor, faccia più ricchi
di sé, che se da pochi è posseduto?». 63
Come può accadere che un bene, distribuito tra più possessori, renda [questi] più ricchi di sè, che se è posseduto da pochi? ». 63
Ed elli a me: «Però che tu rificchi
la mente pur a le cose terrene,
di vera luce tenebre dispicchi. 66
Ed egli a me: «Poichè tu tieni fissa la mente soltanto alle cose terrene, raccogli [solo] tenebre da[lla] luce vera [delle mie parole]. 66
Quello infinito e ineffabil bene
che là sù è, così corre ad amore
com’a lucido corpo raggio vene. 69
Quel bene infinito e indicibile che sta lassù (=Dio), corre verso [l’] amore (=verso chi lo ama) così come [un] raggio [di luce] corre verso [i] corpi lucidi (=che riflettono la luce). 69
Tanto si dà quanto trova d’ardore;
sì che, quantunque carità si stende,
cresce sovr’essa l’etterno valore. 72
[Dio] si concede tanto quanto ardore [di carità] trova [nell’anima]; così che, quanto più è grande [la] carità [dell’anima], [tanto più] il bene divino si diffonde su di lei. 72
E quanta gente più là sù s’intende,
più v’è da bene amare, e più vi s’ama,
e come specchio l’uno a l’altro rende. 75
E quante più anime lassù si amano, più c’è [materia] di vero amore, e [di fatto] vi si ama di più, e come [uno] specchio l’uno restituisce [l’amore] all’altro. 75
E se la mia ragion non ti disfama,
vedrai Beatrice, ed ella pienamente
ti torrà questa e ciascun’altra brama. 78
E se il mio ragionamento non ti sazia, vedrai Beatrice, e lei soddisferà pienamente questo e ciascun altro [tuo] desiderio. 78
Procaccia pur che tosto sieno spente,
come son già le due, le cinque piaghe,
che si richiudon per esser dolente». 81
Preoccupati soltanto che presto [ti] siano cancellate, come già [lo] sono [state] le [prime] due, le cinque ferite (=le cinque P), che si rimarginano per mezzo del pentimento». 81
Com’io voleva dicer ‘Tu m’appaghe’,
vidimi giunto in su l’altro girone,
sì che tacer mi fer le luci vaghe. 84
[Proprio] quando io volevo dire ‘Tu m’appaghe’ (=‘Tu mi appaghi’), mi vidi giunto nell’altro girone, così che gli occhi desiderosi [di vedere cose nuove] mi fecero tacere. 84
Ivi mi parve in una visione
estatica di sùbito esser tratto,
e vedere in un tempio più persone; 87
Lì mi parve [di] essere all’improvviso rapito in una visione estatica, e [di] vedere in un tempio molte persone; 87
e una donna, in su l’entrar, con atto
dolce di madre dicer: «Figliuol mio
perché hai tu così verso noi fatto? 90
e una donna (=Maria), all’entrata, dire con [l’] atteggiamento dolce di [una] madre: «Figliolo mio perché tu ci hai fatto questo? 90
Ecco, dolenti, lo tuo padre e io
ti cercavamo». E come qui si tacque,
ciò che pareva prima, dispario. 93
Ecco che tuo padre e io, addolorati, ti cercavamo». E appena a questo punto tacque, ciò che prima [mi] appariva (=la visione), scomparve. 93
Indi m’apparve un’altra con quell’acque
giù per le gote che ‘l dolor distilla
quando di gran dispetto in altrui nacque, 96
Poi mi apparve un’altra [donna] con quelle lacrime che il dolore spreme giù per le guance quando è stato suscitato da gran sdegno contro qualcuno, 96
e dir: «Se tu se’ sire de la villa
del cui nome ne’ dèi fu tanta lite,
e onde ogni scienza disfavilla, 99
e diceva: «Se tu sei [il] signore della città (=Atene) per il cui nome ci fu così grande lite tra gli dei, e dalla quale si diffonde ogni scienza, 99
vendica te di quelle braccia ardite
ch’abbracciar nostra figlia, o Pisistràto».
E ‘l segnor mi parea, benigno e mite, 102
vendicati, o Pisistrato, di quelle braccia impudenti che abbracciarono nostra figlia». E mi appariva il signore [di Atene], benevolo e mite, 102
risponder lei con viso temperato:
«Che farem noi a chi mal ne disira,
se quei che ci ama è per noi condannato?». 105
risponderle con viso atteggiato a moderazione: «Che faremo noi a chi ci vuole male, se chi ci ama è condannato da noi?». 105
Poi vidi genti accese in foco d’ira
con pietre un giovinetto ancider, forte
gridando a sé pur: «Martira, martira!». 108
Poi vidi anime accese da[l] fuoco de[ll'] ira uccidere un giovanetto con [delle] pietre (=lapidandolo), continuando a gridare forte l’uno all’altro: «Uccidi, uccidi!» 108
E lui vedea chinarsi, per la morte
che l’aggravava già, inver’ la terra,
ma de li occhi facea sempre al ciel porte, 111
E lo vedevo accasciarsi a terra, per la morte che già lo gravava, ma faceva sempre degli occhi porte [aperte] al cielo (=teneva sempre gli occhi aperti verso il cielo), 111
orando a l’alto Sire, in tanta guerra,
che perdonasse a’ suoi persecutori,
con quello aspetto che pietà diserra. 114
pregando l’alto Signore, in tanto martirio, affinchè perdonasse i suoi persecutori, con quell’atteggiamento che genera pietà [in chi lo vede]. 114
Quando l’anima mia tornò di fori
a le cose che son fuor di lei vere,
io riconobbi i miei non falsi errori. 117
Quando la mia anima tornò fuori alle cose che sono vere fuori di lei (=hanno una propria realtà), io riconobbi le mie [visioni] come immaginarie [anche se] non false. 117
Lo duca mio, che mi potea vedere
far sì com’om che dal sonno si slega,
disse: «Che hai che non ti puoi tenere, 120
La mia giuda, che mi poteva vedere comportar[mi] così come [un] uomo che si scioglie dal sonno (=si sveglia), disse: «Che [cos’] hai che non ti puoi reggere in piedi, 120
ma se’ venuto più che mezza lega
velando li occhi e con le gambe avvolte,
a guisa di cui vino o sonno piega?». 123
ma hai camminato [per] più di mezza lega (=per molta strada) con gli occhi chiusi e con le gambe impacciate, come chi è vinto [dal] vino o [dal] sonno?». 123
«O dolce padre mio, se tu m’ascolte,
io ti dirò», diss’io, «ciò che m’apparve
quando le gambe mi furon sì tolte». 126
Io dissi: «O dolce padre mio, se tu mi ascolti, io ti dirò ciò che mi apparve quando le gambe mi furono tolte in tal modo (=mi fu tolta la padronanza delle gambe)». 126
Ed ei: «Se tu avessi cento larve
sovra la faccia, non mi sarian chiuse
le tue cogitazion, quantunque parve. 129
E lui: «[Anche] se tu avessi cento maschere sopra il volto, i tuoi pensieri non mi sarebbero nascosti, per quanto piccoli. 129
Ciò che vedesti fu perché non scuse
d’aprir lo core a l’acque de la pace
che da l’etterno fonte son diffuse. 132
Ciò che hai visto è avvenuto affinchè [tu] non rifiuti di aprire il cuore alle acque della pace (=alla mansuetudine) che sono versate dalla fonte eterna (=da Dio). 132
Non dimandai "Che hai?" per quel che face
chi guarda pur con l’occhio che non vede,
quando disanimato il corpo giace; 135
Non domandai "Che hai?" per il motivo per cui lo fa chi guarda solo con l’occhio [corporeo] che non vede [più nulla], quando il corpo giace morto; 135
ma dimandai per darti forza al piede:
così frugar conviensi i pigri, lenti
ad usar lor vigilia quando riede». 138
ma domandai per darti forza ai piedi (=per spronarti ad accelerare il passo): è necessario stimolare in questo modo i pigri, lenti a usare [proficuamente] [il] loro] stato di] veglia quando torna». 138
Noi andavam per lo vespero, attenti
oltre quanto potean li occhi allungarsi
contra i raggi seròtini e lucenti. 141
Noi procedevano nella sera, intenti [a guardare] avanti per quanto potevano spingersi lontano i [nostri] occhi contro i raggi [del sole] vespertini ma luminosi. 141
Ed ecco a poco a poco un fummo farsi
verso di noi come la notte oscuro;
né da quello era loco da cansarsi. 144
Ed ecco a poco a poco un fumo avanzare verso di noi scuro come la notte; e non c’era luogo dove ripararsi da quello (=dove poterlo evitare). 144
Questo ne tolse li occhi e l’aere puro. 145
Questo ci tolse la vista e l’aria pura. 145
🖥️ Parafrasi affiancata
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Canto XV
Quanto tra l’ultimar de l’ora terza
e ‘l principio del dì par de la spera
che sempre a guisa di fanciullo scherza 3
tanto pareva già inver’ la sera
essere al sol del suo corso rimaso;
vespero là, e qui mezza notte era. 6
E i raggi ne ferien per mezzo ‘l naso,
perché per noi girato era sì ‘l monte,
che già dritti andavamo inver’ l’occaso, 9
quand’io senti’ a me gravar la fronte
a lo splendore assai più che di prima,
e stupor m’eran le cose non conte; 12
ond’io levai le mani inver’ la cima
de le mie ciglia, e fecimi ‘l solecchio,
che del soverchio visibile lima. 15
Come quando da l’acqua o da lo specchio
salta lo raggio a l’opposita parte,
salendo su per lo modo parecchio 18
a quel che scende, e tanto si diparte
dal cader de la pietra in igual tratta,
sì come mostra esperienza e arte; 21
così mi parve da luce rifratta
quivi dinanzi a me esser percosso;
per che a fuggir la mia vista fu ratta. 24
«Che è quel, dolce padre, a che non posso
schermar lo viso tanto che mi vaglia»,
diss’io, «e pare inver’ noi esser mosso?». 27
«Non ti maravigliar s’ancor t’abbaglia
la famiglia del cielo», a me rispuose:
«messo è che viene ad invitar ch’om saglia. 30
Tosto sarà ch’a veder queste cose
non ti fia grave, ma fieti diletto
quanto natura a sentir ti dispuose». 33
Poi giunti fummo a l’angel benedetto,
con lieta voce disse: «Intrate quinci
ad un scaleo vie men che li altri eretto». 36
Noi montavam, già partiti di linci,
e ‘Beati misericordes!’ fue
cantato retro, e 'Godi tu che vinci!'. 39
Lo mio maestro e io soli amendue
suso andavamo; e io pensai, andando,
prode acquistar ne le parole sue; 42
e dirizza’mi a lui sì dimandando:
«Che volse dir lo spirto di Romagna,
e ‘divieto’ e ‘consorte’ menzionando?». 45
Per ch’elli a me: «Di sua maggior magagna
conosce il danno; e però non s’ammiri
se ne riprende perché men si piagna. 48
Perché s’appuntano i vostri disiri
dove per compagnia parte si scema,
invidia move il mantaco a’ sospiri. 51
Ma se l’amor de la spera supprema
torcesse in suso il disiderio vostro,
non vi sarebbe al petto quella tema; 54
ché, per quanti si dice più lì ‘nostro’,
tanto possiede più di ben ciascuno,
e più di caritate arde in quel chiostro». 57
«Io son d’esser contento più digiuno»,
diss’io, «che se mi fosse pria taciuto,
e più di dubbio ne la mente aduno. 60
Com’esser puote ch’un ben, distributo
in più posseditor, faccia più ricchi
di sé, che se da pochi è posseduto?». 63
Ed elli a me: «Però che tu rificchi
la mente pur a le cose terrene,
di vera luce tenebre dispicchi. 66
Quello infinito e ineffabil bene
che là sù è, così corre ad amore
com’a lucido corpo raggio vene. 69
Tanto si dà quanto trova d’ardore;
sì che, quantunque carità si stende,
cresce sovr’essa l’etterno valore. 72
E quanta gente più là sù s’intende,
più v’è da bene amare, e più vi s’ama,
e come specchio l’uno a l’altro rende. 75
E se la mia ragion non ti disfama,
vedrai Beatrice, ed ella pienamente
ti torrà questa e ciascun’altra brama. 78
Procaccia pur che tosto sieno spente,
come son già le due, le cinque piaghe,
che si richiudon per esser dolente». 81
Com’io voleva dicer ‘Tu m’appaghe’,
vidimi giunto in su l’altro girone,
sì che tacer mi fer le luci vaghe. 84
Ivi mi parve in una visione
estatica di sùbito esser tratto,
e vedere in un tempio più persone; 87
e una donna, in su l’entrar, con atto
dolce di madre dicer: «Figliuol mio
perché hai tu così verso noi fatto? 90
Ecco, dolenti, lo tuo padre e io
ti cercavamo». E come qui si tacque,
ciò che pareva prima, dispario. 93
Indi m’apparve un’altra con quell’acque
giù per le gote che ‘l dolor distilla
quando di gran dispetto in altrui nacque, 96
e dir: «Se tu se’ sire de la villa
del cui nome ne’ dèi fu tanta lite,
e onde ogni scienza disfavilla, 99
vendica te di quelle braccia ardite
ch’abbracciar nostra figlia, o Pisistràto».
E ‘l segnor mi parea, benigno e mite, 102
risponder lei con viso temperato:
«Che farem noi a chi mal ne disira,
se quei che ci ama è per noi condannato?». 105
Poi vidi genti accese in foco d’ira
con pietre un giovinetto ancider, forte
gridando a sé pur: «Martira, martira!». 108
E lui vedea chinarsi, per la morte
che l’aggravava già, inver’ la terra,
ma de li occhi facea sempre al ciel porte, 111
orando a l’alto Sire, in tanta guerra,
che perdonasse a’ suoi persecutori,
con quello aspetto che pietà diserra. 114
Quando l’anima mia tornò di fori
a le cose che son fuor di lei vere,
io riconobbi i miei non falsi errori. 117
Lo duca mio, che mi potea vedere
far sì com’om che dal sonno si slega,
disse: «Che hai che non ti puoi tenere, 120
ma se’ venuto più che mezza lega
velando li occhi e con le gambe avvolte,
a guisa di cui vino o sonno piega?». 123
«O dolce padre mio, se tu m’ascolte,
io ti dirò», diss’io, «ciò che m’apparve
quando le gambe mi furon sì tolte». 126
Ed ei: «Se tu avessi cento larve
sovra la faccia, non mi sarian chiuse
le tue cogitazion, quantunque parve. 129
Ciò che vedesti fu perché non scuse
d’aprir lo core a l’acque de la pace
che da l’etterno fonte son diffuse. 132
Non dimandai "Che hai?" per quel che face
chi guarda pur con l’occhio che non vede,
quando disanimato il corpo giace; 135
ma dimandai per darti forza al piede:
così frugar conviensi i pigri, lenti
ad usar lor vigilia quando riede». 138
Noi andavam per lo vespero, attenti
oltre quanto potean li occhi allungarsi
contra i raggi seròtini e lucenti. 141
Ed ecco a poco a poco un fummo farsi
verso di noi come la notte oscuro;
né da quello era loco da cansarsi. 144
Questo ne tolse li occhi e l’aere puro. 145
Canto XV
Sembrava che al sole, [per giungere] verso la sera, fosse [ormai] rimasto tanto del suo percorso, quanto [ne] appare della sfera [solare], che scherza sempre come [un] fanciullo, tra l’inizio del giorno (=le 6) e la fine dell’ora terza (=le 9) (=mancavano altre tre ore di luce solare prima del tramonto: erano le quindici); là (=nel Purgatorio) era [il] vespero, e qui (=in Italia) mezzanotte. 3-6
E i raggi ci colpivano in pieno volto, perchè il monte era stato da noi così aggirato, che ormai eravamo indirizzati verso occidente, 9
quando io mi sentii gli occhi gravati (=costretti ad abbassarsi) dallo splendore molto più di prima, e [queste] cose non conosciute erano per me [motivo di] stupore; 12
per cui io sollevai le mani verso la sommità delle mie ciglia (=sopra gli occhi), e feci [con le mani quella specie di] paralume (=mi riparai la vista), con cui si attenua l’eccesso di luce. 15
Come quando un raggio [di luce], dall’acqua o dallo specchio, rimbalza nella parte opposta, salendo in modo simile (=in base alla stessa legge) 18
a quello con cui discende e si allontana dalla perpendicolare per [un] tratto uguale [a quello del raggio incidente], così come mostrano [l’] esperienza e [la] scienza; 21
così mi parve di essere colpito da [una] luce riflessa lì davanti a me; per cui la mia vista fu veloce a fuggir[la] (=a sottrarvisi). 24
Io dissi: «Che [luce] è, dolce padre, [quella] da cui non posso riparare la vista in modo che mi giovi (=che io riesca a sostenerla) e [che] sembra muoversi verso [di] noi?». 27
Mi rispose: «Non meravigliarti se la famiglia celeste (=gli angeli) ti abbaglia ancora: è un messaggero che viene a invitare affinchè si salga. 30
Presto accadrà che non ti sarà [più] difficile vedere queste cose, ma sarà per te [motivo di] diletto quanto [la] natura ti dispose a percepire (=quanto la tua disposizione naturale ti ha fatto capace di sentire). 33
Dopo che fummo giunti presso l’angelo benedetto, [questi] con voce lieta disse: «Entrate di qui verso una scala meno ripida delle altre». 36
Noi salivamo, ormai lontani da lì, quando dietro [di noi] fu cantato ‘Beati misericordes!’ (= 'Beati i misericordiosi'), e 'Godi tu che vinci!'. 39
Il mio maestro e io soli salivamo entrambi; e io pensai, mentre procedevo, di trarre giovamento dalle sue parole; 42
allora mi indirizzai a lui domandando: «Che [cosa] ha voluto dire lo spirito di Romagna (=Guido del Duca) parlando [di] ‘divieto’ e [di]‘consorte’?». 45
Per cui egli a me: «[Egli] conosce gli effetti dannosi de[l] suo vizio maggiore; e perciò non ci si meravigli se ammonisce [gli uomini] di essa [invidia] perchè meno si soffra [per espiare]. 48
[L’] invidia muove il mantice (=gonfia i polmoni) ai vostri sospiri (=vi fa sospirare), poichè i vostri desideri si rivolgono dove [la] parte [di ciascuno] diminuisce per [la] partecipazione [di altri] (=si rivolgono verso i beni terreni). 51
Ma se l’amore per la sfera suprema (=per l’Empireo: per i beni spirituali) piegasse i vostri desideri verso l’alto, non ci sarebbe quel timore (=il timore che diminuisca la vostra porzione di bene) nel [vostro] animo; 54
perchè, lì (=in Cielo) da quanti più si dice ‘nostro’, tanto più bene ciascuno possiede, e [tanta] più carità arde in quella comunità». 57
Io dissi: «Io sono più lontano d[all]’essere appagato che se prima avessi taciuto, e accolgo nella mente [un] dubbio maggiore. 60
Come può accadere che un bene, distribuito tra più possessori, renda [questi] più ricchi di sè, che se è posseduto da pochi? ». 63
Ed egli a me: «Poichè tu tieni fissa la mente soltanto alle cose terrene, raccogli [solo] tenebre da[lla] luce vera [delle mie parole]. 66
Quel bene infinito e indicibile che sta lassù (=Dio), corre verso [l’] amore (=verso chi lo ama) così come [un] raggio [di luce] corre verso [i] corpi lucidi (=che riflettono la luce). 69
[Dio] si concede tanto quanto ardore [di carità] trova [nell’anima]; così che, quanto più è grande [la] carità [dell’anima], [tanto più] il bene divino si diffonde su di lei. 72
E quante più anime lassù si amano, più c’è [materia] di vero amore, e [di fatto] vi si ama di più, e come [uno] specchio l’uno restituisce [l’amore] all’altro. 75
E se il mio ragionamento non ti sazia, vedrai Beatrice, e lei soddisferà pienamente questo e ciascun altro [tuo] desiderio. 78
Preoccupati soltanto che presto [ti] siano cancellate, come già [lo] sono [state] le [prime] due, le cinque ferite (=le cinque P), che si rimarginano per mezzo del pentimento». 81
[Proprio] quando io volevo dire ‘Tu m’appaghe’ (=‘Tu mi appaghi’), mi vidi giunto nell’altro girone, così che gli occhi desiderosi [di vedere cose nuove] mi fecero tacere. 84
Lì mi parve [di] essere all’improvviso rapito in una visione estatica, e [di] vedere in un tempio molte persone; 87
e una donna (=Maria), all’entrata, dire con [l’] atteggiamento dolce di [una] madre: «Figliolo mio perché tu ci hai fatto questo? 90
Ecco che tuo padre e io, addolorati, ti cercavamo». E appena a questo punto tacque, ciò che prima [mi] appariva (=la visione), scomparve. 93
Poi mi apparve un’altra [donna] con quelle lacrime che il dolore spreme giù per le guance quando è stato suscitato da gran sdegno contro qualcuno, 96
e diceva: «Se tu sei [il] signore della città (=Atene) per il cui nome ci fu così grande lite tra gli dei, e dalla quale si diffonde ogni scienza, 99
vendicati, o Pisistrato, di quelle braccia impudenti che abbracciarono nostra figlia». E mi appariva il signore [di Atene], benevolo e mite, 102
risponderle con viso atteggiato a moderazione: «Che faremo noi a chi ci vuole male, se chi ci ama è condannato da noi?». 105
Poi vidi anime accese da[l] fuoco de[ll'] ira uccidere un giovanetto con [delle] pietre (=lapidandolo), continuando a gridare forte l’uno all’altro: «Uccidi, uccidi!» 108
E lo vedevo accasciarsi a terra, per la morte che già lo gravava, ma faceva sempre degli occhi porte [aperte] al cielo (=teneva sempre gli occhi aperti verso il cielo), 111
pregando l’alto Signore, in tanto martirio, affinchè perdonasse i suoi persecutori, con quell’atteggiamento che genera pietà [in chi lo vede]. 114
Quando la mia anima tornò fuori alle cose che sono vere fuori di lei (=hanno una propria realtà), io riconobbi le mie [visioni] come immaginarie [anche se] non false. 117
La mia giuda, che mi poteva vedere comportar[mi] così come [un] uomo che si scioglie dal sonno (=si sveglia), disse: «Che [cos’] hai che non ti puoi reggere in piedi, 120
ma hai camminato [per] più di mezza lega (=per molta strada) con gli occhi chiusi e con le gambe impacciate, come chi è vinto [dal] vino o [dal] sonno?». 123
Io dissi: «O dolce padre mio, se tu mi ascolti, io ti dirò ciò che mi apparve quando le gambe mi furono tolte in tal modo (=mi fu tolta la padronanza delle gambe)». 126
E lui: «[Anche] se tu avessi cento maschere sopra il volto, i tuoi pensieri non mi sarebbero nascosti, per quanto piccoli. 129
Ciò che hai visto è avvenuto affinchè [tu] non rifiuti di aprire il cuore alle acque della pace (=alla mansuetudine) che sono versate dalla fonte eterna (=da Dio). 132
Non domandai "Che hai?" per il motivo per cui lo fa chi guarda solo con l’occhio [corporeo] che non vede [più nulla], quando il corpo giace morto; 135
ma domandai per darti forza ai piedi (=per spronarti ad accelerare il passo): è necessario stimolare in questo modo i pigri, lenti a usare [proficuamente] [il] loro] stato di] veglia quando torna». 138
Noi procedevano nella sera, intenti [a guardare] avanti per quanto potevano spingersi lontano i [nostri] occhi contro i raggi [del sole] vespertini ma luminosi. 141
Ed ecco a poco a poco un fumo avanzare verso di noi scuro come la notte; e non c’era luogo dove ripararsi da quello (=dove poterlo evitare). 144
Questo ci tolse la vista e l’aria pura. 145