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Canto XIV
«Chi è costui che ‘l nostro monte cerchia
prima che morte li abbia dato il volo,
e apre li occhi a sua voglia e coverchia?». 3
«Chi è costui che percorre in cerchio il nostro monte prima che [la] morte gli abbia concesso di volare [nell’aldilà], e apre e chiude gli occhi a suo piacere?». 3
«Non so chi sia, ma so ch’e’ non è solo:
domandal tu che più li t’avvicini,
e dolcemente, sì che parli, acco’lo». 6
«Non so chi sia, ma so che egli non è solo: chiediglielo tu che gli sei più vicino, e accoglilo con dolcezza, così che egli parli». 6
Così due spirti, l’uno a l’altro chini,
ragionavan di me ivi a man dritta;
poi fer li visi, per dirmi, supini; 9
Così due spiriti, chinati l'uno verso l'altro, parlavano di me lì a destra; poi fecero supini (=alzarono) i visi per parlarmi; 9
e disse l’uno: «O anima che fitta
nel corpo ancora inver’ lo ciel ten vai,
per carità ne consola e ne ditta 12
e uno disse: «O anima che te ne vai verso il cielo ancora rinchiusa dentro il corpo, in nome de[lla] carità consolaci e dicci 12
onde vieni e chi se’; ché tu ne fai
tanto maravigliar de la tua grazia,
quanto vuol cosa che non fu più mai». 15
da dove vieni e chi sei; poichè per la grazia di cui sei oggetto tu ci fai tanto meravigliare, quanto fa [meravigliare] una cosa che non è mai accaduta prima». 15
E io: «Per mezza Toscana si spazia
un fiumicel che nasce in Falterona,
e cento miglia di corso nol sazia. 18
E io: «Nel mezzo della Toscana si estende per un ampio spazio un fiumicello che nasce da[l] Falterona, e non gli bastano cento miglia di corso. 18
Di sovr’esso rech’io questa persona:
dirvi ch’i’ sia, saria parlare indarno,
ché ‘l nome mio ancor molto non suona». 21
Da [un luogo posto] sopra di esso io reco questo [mio] corpo (=vengo): dirvi chi io sia, sarebbe [come] parlare inutilmente, perchè il mio nome non è ancora molto noto». 21
«Se ben lo ‘ntendimento tuo accarno
con lo ‘ntelletto», allora mi rispuose
quei che diceva pria, «tu parli d’Arno». 24
Allora quello che parlava prima (=Guido del Duca) mi rispose: «Se con l’intelletto penetro bene ciò che intendono dire le tue parole, tu parli de[ll’]Arno». 24
E l’altro disse lui: «Perché nascose
questi il vocabol di quella riviera,
pur com’om fa de l’orribili cose?». 27
E l'altro (=Riniero da Calboli) gli disse: «Perché questi (=Dante) ha nascosto il nome di quel fiume, proprio come si fa con le cose turpi?». 27
E l’ombra che di ciò domandata era,
si sdebitò così: «Non so; ma degno
ben è che ‘l nome di tal valle pèra; 30
E l'ombra (=Guido del Duca) cui fu domandato questo si sdebitò così: «Non [lo] so, ma è sicuramente giusto che il nome di quella valle perisca; 30
ché dal principio suo, ov’è sì pregno
l’alpestro monte ond’è tronco Peloro,
che ‘n pochi luoghi passa oltra quel segno, 33
perchè dalla sua sorgente (=dal Falterona), dove l'Appennino, da cui [il monte] Peloro si è staccato, è tanto massiccio, che in pochi luoghi supera quell’ampiezza, 33
infin là ‘ve si rende per ristoro
di quel che ‘l ciel de la marina asciuga,
ond’hanno i fiumi ciò che va con loro, 36
fino a là (=al mare) dove [il fiume] restituisce se stesso come compenso di quelle [acque] che il cielo (=il sole) prosciuga dal mare, dalle quali [acque] i fiumi ricevono ciò che forma il loro corso, 36
vertù così per nimica si fuga
da tutti come biscia, o per sventura
del luogo, o per mal uso che li fruga: 39
[la] virtù a tal punto è sfuggita da tutti come [una] nemica, come [una] biscia, o per maledizione del luogo (=per malefico influsso astrale), o per malvagia abitudine che li stimola [ad agire male]: 39
ond’hanno sì mutata lor natura
li abitator de la misera valle,
che par che Circe li avesse in pastura. 42
cosicchè gli abitanti della sventurata valle hanno così mutato [la] loro natura, che sembra che Circe li abbia avuti in sua balia. 42
Tra brutti porci, più degni di galle
che d’altro cibo fatto in uman uso,
dirizza prima il suo povero calle. 45
All’inizio [l’Arno] dirige il suo corso [ancora] povero [di acque], tra sudici porci (=gli abitanti dell’alto Casentino), più degni di ghiande che d’altro cibo fatto per uso degli uomini. 45
Botoli trova poi, venendo giuso,
ringhiosi più che non chiede lor possa,
e da lor disdegnosa torce il muso. 48
Venendo in giù, incontra poi [dei] botoli (=gli Aretini) ringhiosi più di quanto consenta [la] loro forza, e [il fiume] sdegnoso volta il muso lontano da loro (=si allontana). 48
Vassi caggendo; e quant’ella più ‘ngrossa,
tanto più trova di can farsi lupi
la maladetta e sventurata fossa. 51
Procede scendendo; e quanto più quello (=l’Arno) ingrossa, tanto più la valle maledetta e sventurata vede i cani trasformarsi in lupi (=i Fiorentini). 51
Discesa poi per più pelaghi cupi,
trova le volpi sì piene di froda,
che non temono ingegno che le occùpi. 54
Disceso poi attraverso numerosi fossati scuri, trova le volpi (=i Pisani) così piene di inganni, che non temono trappole che le prendano. 54
Né lascerò di dir perch’altri m’oda;
e buon sarà costui, s’ancor s’ammenta
di ciò che vero spirto mi disnoda. 57
Nè smetterò di parlare perché qualcuno mi ascolta (=Rinieri); e sarà utile a costui (=a Dante), se si rammenterà in avvenire di ciò che [una] vera ispirazione mi rivela. 57
Io veggio tuo nepote che diventa
cacciator di quei lupi in su la riva
del fiero fiume, e tutti li sgomenta. 60
Io vedo tuo nipote (=Fulcieri da Calboli) che diventa cacciatore di quei lupi (=i guelfi bianchi di Firenze) sulla riva del fiume selvaggio, e li terrorizza tutti. 60
Vende la carne loro essendo viva;
poscia li ancide come antica belva;
molti di vita e sé di pregio priva. 63
Vende la loro carne ancora viva; poi li uccide come [una] belva nel tempo antico (=abituata alla ferocia); priva molti de[lla] vita e se stesso di onore. 63
Sanguinoso esce de la trista selva;
lasciala tal, che di qui a mille anni
ne lo stato primaio non si rinselva». 66
Esce insanguinato dalla selva malvagia; la lascia in tale stato, che da qui a mille anni [essa] non si rivestirà di alberi come nella condizione primitiva”. 66
Com’a l’annunzio di dogliosi danni
si turba il viso di colui ch’ascolta,
da qual che parte il periglio l’assanni, 69
Come alla notizia di dolorose sventure il viso di colui che ascolta si turba, da qualunque parte il pericolo lo azzanni, 69
così vid’io l’altr’anima, che volta
stava a udir, turbarsi e farsi trista,
poi ch’ebbe la parola a sì raccolta. 72
così io vidi l’altra anima (=Rinieri da Calboli), che stava girata ad ascoltare, turbarsi e diventare triste, dopo che ebbe compreso quelle parole. 72
Lo dir de l’una e de l’altra la vista
mi fer voglioso di saper lor nomi,
e dimanda ne fei con prieghi mista; 75
Le parole dell’una (=di Guido) e l’aspetto dell’altra (=di Ranieri) mi resero desideroso di conoscere [i] loro nomi e ne feci richiesta con preghiere; 75
per che lo spirto che di pria parlòmi
ricominciò: «Tu vuo’ ch’io mi deduca
nel fare a te ciò che tu far non vuo’mi. 78
per cui lo spirito che prima mi aveva parlato ricominciò: «Tu vuoi che io mi induca a fare a te ciò che tu non vuoi fare a me (=rivelare il nome). 78
Ma da che Dio in te vuol che traluca
tanto sua grazia, non ti sarò scarso;
però sappi ch’io fui Guido del Duca. 81
Ma dal momento che Dio vuole che in te traspaia tanto [luminosamente la] sua grazia, non sarò avaro [di notizie] nei tuoi confronti; perciò sappi che io fui Guido del Duca. 81
Fu il sangue mio d’invidia sì riarso,
che se veduto avesse uom farsi lieto,
visto m’avresti di livore sparso. 84
Il mio sangue (=la mia anima) arse tanto di invidia, che se avesse visto [un] uomo allietarsi, mi avresti visto cosparso di livore. 84
Di mia semente cotal paglia mieto;
o gente umana, perché poni ‘l core
là ‘v’è mestier di consorte divieto? 87
Raccolgo [una] tale paglia (=raccolgo tale frutto) da[l] mio seme; o uomini, perchè volgete il cuore là (=ai beni materiali) dove è necessaria [l’] esclusione di [un] compagno [che vi partecipi]? 87
Questi è Rinier; questi è ‘l pregio e l’onore
de la casa da Calboli, ove nullo
fatto s’è reda poi del suo valore. 90
Questi è Ranieri; questi è il prestigio e l’onore della casata dei Calboli, nella quale nessuno poi si è fatto erede della sua virtù. 90
E non pur lo suo sangue è fatto brullo,
tra ‘l Po e ‘l monte e la marina e ‘l Reno,
del ben richesto al vero e al trastullo; 93
E non solamente i suoi discendenti sono diventati privi delle virtù necessarie al vero e al bene, tra il Po e gli Appennini e il mare e il Reno (=in Romagna); 93
ché dentro a questi termini è ripieno
di venenosi sterpi, sì che tardi
per coltivare omai verrebber meno. 96
perchè dentro a questi confini (=al terreno nominato) è così pieno di sterpi velenosi che, per quanto si coltivi, verrebbero estirpati [troppo] tardi. 96
Ov’è ‘l buon Lizio e Arrigo Mainardi?
Pier Traversaro e Guido di Carpigna?
Oh Romagnuoli tornati in bastardi! 99
Dov’è il buon Lizio (=Lizio di Valbona) e [dov’è] Arrigo Mainardi? [E] Piero Traversaro e Guido di Carpegna? Oh Romagnoli tramutati in bastardi! 99
Quando in Bologna un Fabbro si ralligna?
quando in Faenza un Bernardin di Fosco,
verga gentil di picciola gramigna? 102
Quando tornerà di nuovo a Bologna un Fabbro (=Fabbro dei Lambertazzi)? quando a Faenza un Bernardino di Fosco, nobile ramo di [un’] erba umile (=cresciuto da famiglia di umili origini)? 102
Non ti maravigliar s’io piango, Tosco,
quando rimembro con Guido da Prata,
Ugolin d’Azzo che vivette nosco, 105
Non meravigliarti, Toscano, se io piango quando ricordo [insieme] con Guido da Prata, Ugolino d'Azzo che visse con noi, 105
Federigo Tignoso e sua brigata,
la casa Traversara e li Anastagi
(e l’una gente e l’altra è diretata), 108
Federigo Tignoso e [la] sua compagnia, la famiglia Traversari e gli Anastagi (l’una e l’altra famiglia è senza eredi), 108
e donne e ‘ cavalier, li affanni e li agi
che ne ‘nvogliava amore e cortesia
là dove i cuor son fatti sì malvagi. 111
e [le] donne e i cavalieri, le fatiche [militari] e i piaceri [signorili] a cui amore e cortesia ci invogliavano là (=in Romagna) dove [ora] i cuori sono diventati così malvagi. 111
O Bretinoro, ché non fuggi via,
poi che gita se n’è la tua famiglia
e molta gente per non esser ria? 114
O Bertinoro, perché non scompari [dal mondo], dopo che i tuoi signori e molta altra gente (=molti altri nobili) si sono [già] estinti per non diventare malvagi? 114
Ben fa Bagnacaval, che non rifiglia;
e mal fa Castrocaro, e peggio Conio,
che di figliar tai conti più s’impiglia. 117
Fa bene Bagnacavallo (=fanno bene i signori Malvicini di Bagnocavallo), poichè non si rinnova nei figli (=non lascia eredi); e fa male Castrocaro, e peggio Conio, che si ostinano a generare conti tali (=così degeneri). 117
Ben faranno i Pagan, da che ‘l demonio
lor sen girà; ma non però che puro
già mai rimagna d’essi testimonio. 120
Opereranno bene i Pagani (=signori di Faenza) dopo che il loro demonio (=Maghinardo di Susinana: l’ultimo discendente) morirà; ma non per questo rimarrà di loro [un] ricordo onorevole. 120
O Ugolin de’ Fantolin, sicuro
è il nome tuo, da che più non s’aspetta
chi far lo possa, tralignando, scuro. 123
O Ugolino dei Fantolini, la tua fama è al sicuro, poichè non si aspetta più chi, deviando, possa oscurarla. 123
Ma va via, Tosco, omai; ch’or mi diletta
troppo di pianger più che di parlare,
sì m’ha nostra ragion la mente stretta». 126
Ma ormai va’ via, Toscano; perchè ora ho più voglia di piangere che di parlare, tanto [il] nostro ragionare mi ha angustiato l’animo». 126
Noi sapavam che quell’anime care
ci sentivano andar; però, tacendo,
facean noi del cammin confidare. 129
Noi sapevamo che quelle anime care ci sentivano camminare; perciò, tacendo, ci rendevano fiduciosi in merito al [nostro] cammino (=ci rassicuravano sul fatto che eravamo sulla strada giusta). 129
Poi fummo fatti soli procedendo,
folgore parve quando l’aere fende,
voce che giunse di contra dicendo: 132
Dopo che, procedendo, rimanemmo soli, la voce che risuonò dalla parte opposta [a noi] parve [una] folgore quando fende l’aria e diceva: 132
‘Anciderammi qualunque m’apprende’;
e fuggì come tuon che si dilegua,
se sùbito la nuvola scoscende. 135
‘Mi ucciderà chiunque mi troverà’; e fuggì come [un] tuono che si dilegua, se improvvisamente squarcia le nuvole. 135
Come da lei l’udir nostro ebbe triegua,
ed ecco l’altra con sì gran fracasso,
che somigliò tonar che tosto segua: 138
Appena il nostro udito fu lasciato tranquillo (=non udimmo più quella voce) da lei, ecco un’altra [voce] con così grande fragore che sembrò [un] tuono che segua immediatamente [un altro]: 138
«Io sono Aglauro che divenni sasso»;
e allor, per ristrignermi al poeta,
in destro feci e non innanzi il passo. 141
«Io sono Aglauro che divenni sasso»; e allora, per avvicinarmi al poeta, feci un passo a destra e non in avanti. 141
Già era l’aura d’ogne parte queta;
ed el mi disse: «Quel fu ‘l duro camo
che dovria l’uom tener dentro a sua meta. 144
L’aria ormai era silenziosa da ogni parte; ed egli mi disse: «Quello [che hai udito] fu il rigido morso (=il freno) che dovrebbe tenere l’uomo dentro i suoi limiti. 144
Ma voi prendete l’esca, sì che l’amo
de l’antico avversaro a sé vi tira;
e però poco val freno o richiamo. 147
Ma voi [uomini] afferrate l’esca, così che l’amo del [vostro] antico avversario (=del demonio) vi attira a sè; e perciò a poco servono [il] freno o [il] richiamo. 147
Chiamavi ‘l cielo e ‘ntorno vi si gira,
mostrandovi le sue bellezze etterne,
e l’occhio vostro pur a terra mira; 150
Il cielo vi chiama e vi gira intorno, mostrandovi le sue bellezze eterne, eppure i vostri occhi guardano soltanto verso terra; 150
onde vi batte chi tutto discerne». 151
per questo Colui che vede tutto vi punisce». 151
🖥️ Parafrasi affiancata
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Canto XIV
«Chi è costui che ‘l nostro monte cerchia
prima che morte li abbia dato il volo,
e apre li occhi a sua voglia e coverchia?». 3
«Non so chi sia, ma so ch’e’ non è solo:
domandal tu che più li t’avvicini,
e dolcemente, sì che parli, acco’lo». 6
Così due spirti, l’uno a l’altro chini,
ragionavan di me ivi a man dritta;
poi fer li visi, per dirmi, supini; 9
e disse l’uno: «O anima che fitta
nel corpo ancora inver’ lo ciel ten vai,
per carità ne consola e ne ditta 12
onde vieni e chi se’; ché tu ne fai
tanto maravigliar de la tua grazia,
quanto vuol cosa che non fu più mai». 15
E io: «Per mezza Toscana si spazia
un fiumicel che nasce in Falterona,
e cento miglia di corso nol sazia. 18
Di sovr’esso rech’io questa persona:
dirvi ch’i’ sia, saria parlare indarno,
ché ‘l nome mio ancor molto non suona». 21
«Se ben lo ‘ntendimento tuo accarno
con lo ‘ntelletto», allora mi rispuose
quei che diceva pria, «tu parli d’Arno». 24
E l’altro disse lui: «Perché nascose
questi il vocabol di quella riviera,
pur com’om fa de l’orribili cose?». 27
E l’ombra che di ciò domandata era,
si sdebitò così: «Non so; ma degno
ben è che ‘l nome di tal valle pèra; 30
ché dal principio suo, ov’è sì pregno
l’alpestro monte ond’è tronco Peloro,
che ‘n pochi luoghi passa oltra quel segno, 33
infin là ‘ve si rende per ristoro
di quel che ‘l ciel de la marina asciuga,
ond’hanno i fiumi ciò che va con loro, 36
vertù così per nimica si fuga
da tutti come biscia, o per sventura
del luogo, o per mal uso che li fruga: 39
ond’hanno sì mutata lor natura
li abitator de la misera valle,
che par che Circe li avesse in pastura. 42
Tra brutti porci, più degni di galle
che d’altro cibo fatto in uman uso,
dirizza prima il suo povero calle. 45
Botoli trova poi, venendo giuso,
ringhiosi più che non chiede lor possa,
e da lor disdegnosa torce il muso. 48
Vassi caggendo; e quant’ella più ‘ngrossa,
tanto più trova di can farsi lupi
la maladetta e sventurata fossa. 51
Discesa poi per più pelaghi cupi,
trova le volpi sì piene di froda,
che non temono ingegno che le occùpi. 54
Né lascerò di dir perch’altri m’oda;
e buon sarà costui, s’ancor s’ammenta
di ciò che vero spirto mi disnoda. 57
Io veggio tuo nepote che diventa
cacciator di quei lupi in su la riva
del fiero fiume, e tutti li sgomenta. 60
Vende la carne loro essendo viva;
poscia li ancide come antica belva;
molti di vita e sé di pregio priva. 63
Sanguinoso esce de la trista selva;
lasciala tal, che di qui a mille anni
ne lo stato primaio non si rinselva». 66
Com’a l’annunzio di dogliosi danni
si turba il viso di colui ch’ascolta,
da qual che parte il periglio l’assanni, 69
così vid’io l’altr’anima, che volta
stava a udir, turbarsi e farsi trista,
poi ch’ebbe la parola a sì raccolta. 72
Lo dir de l’una e de l’altra la vista
mi fer voglioso di saper lor nomi,
e dimanda ne fei con prieghi mista; 75
per che lo spirto che di pria parlòmi
ricominciò: «Tu vuo’ ch’io mi deduca
nel fare a te ciò che tu far non vuo’mi. 78
Ma da che Dio in te vuol che traluca
tanto sua grazia, non ti sarò scarso;
però sappi ch’io fui Guido del Duca. 81
Fu il sangue mio d’invidia sì riarso,
che se veduto avesse uom farsi lieto,
visto m’avresti di livore sparso. 84
Di mia semente cotal paglia mieto;
o gente umana, perché poni ‘l core
là ‘v’è mestier di consorte divieto? 87
Questi è Rinier; questi è ‘l pregio e l’onore
de la casa da Calboli, ove nullo
fatto s’è reda poi del suo valore. 90
E non pur lo suo sangue è fatto brullo,
tra ‘l Po e ‘l monte e la marina e ‘l Reno,
del ben richesto al vero e al trastullo; 93
ché dentro a questi termini è ripieno
di venenosi sterpi, sì che tardi
per coltivare omai verrebber meno. 96
Ov’è ‘l buon Lizio e Arrigo Mainardi?
Pier Traversaro e Guido di Carpigna?
Oh Romagnuoli tornati in bastardi! 99
Quando in Bologna un Fabbro si ralligna?
quando in Faenza un Bernardin di Fosco,
verga gentil di picciola gramigna? 102
Non ti maravigliar s’io piango, Tosco,
quando rimembro con Guido da Prata,
Ugolin d’Azzo che vivette nosco, 105
Federigo Tignoso e sua brigata,
la casa Traversara e li Anastagi
(e l’una gente e l’altra è diretata), 108
e donne e ‘ cavalier, li affanni e li agi
che ne ‘nvogliava amore e cortesia
là dove i cuor son fatti sì malvagi. 111
O Bretinoro, ché non fuggi via,
poi che gita se n’è la tua famiglia
e molta gente per non esser ria? 114
Ben fa Bagnacaval, che non rifiglia;
e mal fa Castrocaro, e peggio Conio,
che di figliar tai conti più s’impiglia. 117
Ben faranno i Pagan, da che ‘l demonio
lor sen girà; ma non però che puro
già mai rimagna d’essi testimonio. 120
O Ugolin de’ Fantolin, sicuro
è il nome tuo, da che più non s’aspetta
chi far lo possa, tralignando, scuro. 123
Ma va via, Tosco, omai; ch’or mi diletta
troppo di pianger più che di parlare,
sì m’ha nostra ragion la mente stretta». 126
Noi sapavam che quell’anime care
ci sentivano andar; però, tacendo,
facean noi del cammin confidare. 129
Poi fummo fatti soli procedendo,
folgore parve quando l’aere fende,
voce che giunse di contra dicendo: 132
‘Anciderammi qualunque m’apprende’;
e fuggì come tuon che si dilegua,
se sùbito la nuvola scoscende. 135
Come da lei l’udir nostro ebbe triegua,
ed ecco l’altra con sì gran fracasso,
che somigliò tonar che tosto segua: 138
«Io sono Aglauro che divenni sasso»;
e allor, per ristrignermi al poeta,
in destro feci e non innanzi il passo. 141
Già era l’aura d’ogne parte queta;
ed el mi disse: «Quel fu ‘l duro camo
che dovria l’uom tener dentro a sua meta. 144
Ma voi prendete l’esca, sì che l’amo
de l’antico avversaro a sé vi tira;
e però poco val freno o richiamo. 147
Chiamavi ‘l cielo e ‘ntorno vi si gira,
mostrandovi le sue bellezze etterne,
e l’occhio vostro pur a terra mira; 150
onde vi batte chi tutto discerne». 151
Canto XIV
«Chi è costui che percorre in cerchio il nostro monte prima che [la] morte gli abbia concesso di volare [nell’aldilà], e apre e chiude gli occhi a suo piacere?». 3
«Non so chi sia, ma so che egli non è solo: chiediglielo tu che gli sei più vicino, e accoglilo con dolcezza, così che egli parli». 6
Così due spiriti, chinati l'uno verso l'altro, parlavano di me lì a destra; poi fecero supini (=alzarono) i visi per parlarmi; 9
e uno disse: «O anima che te ne vai verso il cielo ancora rinchiusa dentro il corpo, in nome de[lla] carità consolaci e dicci 12
da dove vieni e chi sei; poichè per la grazia di cui sei oggetto tu ci fai tanto meravigliare, quanto fa [meravigliare] una cosa che non è mai accaduta prima». 15
E io: «Nel mezzo della Toscana si estende per un ampio spazio un fiumicello che nasce da[l] Falterona, e non gli bastano cento miglia di corso. 18
Da [un luogo posto] sopra di esso io reco questo [mio] corpo (=vengo): dirvi chi io sia, sarebbe [come] parlare inutilmente, perchè il mio nome non è ancora molto noto». 21
Allora quello che parlava prima (=Guido del Duca) mi rispose: «Se con l’ intelletto penetro bene ciò che intendono dire le tue parole, tu parli de[ll’]Arno». 24
E l'altro (=Riniero da Calboli) gli disse: «Perché questi (=Dante) ha nascosto il nome di quel fiume, proprio come si fa con le cose turpi?». 27
E l'ombra (=Guido del Duca) cui fu domandato questo si sdebitò così: «Non [lo] so, ma è sicuramente giusto che il nome di quella valle perisca; 30
perchè dalla sua sorgente (=dal Falterona), dove l'Appennino, da cui [il monte] Peloro si è staccato, è tanto massiccio, che in pochi luoghi supera 33
fino a là (=al mare) dove [il fiume] restituisce se stesso come compenso di quelle [acque] che il cielo (=il sole) prosciuga dal mare, dalle quali [acque] i fiumi ricevono ciò che forma il loro corso, 36
[la] virtù a tal punto è sfuggita da tutti come [una] nemica, come [una] biscia, o per maledizione del luogo (=per malefico influsso astrale), o per malvagia abitudine che li stimola [ad agire male]: 39
cosicchè gli abitanti della sventurata valle hanno così mutato [la] loro natura, che sembra che Circe li abbia avuti in sua balia. 42
All’inizio [l’Arno] dirige il suo corso [ancora] povero [di acque], tra sudici porci (=gli abitanti dell’alto Casentino), più degni di ghiande che d’altro cibo fatto per uso degli uomini. 45
Venendo in giù, incontra poi [dei] botoli (=gli Aretini) ringhiosi più di quanto consenta [la] loro forza, e [il fiume] sdegnoso volta il muso lontano da loro (=si allontana). 48
Procede scendendo; e quanto più quello (=l’Arno) ingrossa, tanto più la valle maledetta e sventurata vede i cani trasformarsi in lupi (=i Fiorentini). 51
Disceso poi attraverso numerosi fossati scuri, trova le volpi (=i Pisani) così piene di inganni, che non temono trappole che le prendano. 54
Nè smetterò di parlare perché qualcuno mi ascolta (=Rinieri); e sarà utile a costui (=a Dante), se si rammenterà in avvenire di ciò che [una] vera ispirazione mi rivela. 57
Io vedo tuo nipote (=Fulcieri da Calboli) che diventa cacciatore di quei lupi (=i guelfi bianchi di Firenze) sulla riva del fiume selvaggio, e li terrorizza tutti. 60
Vende la loro carne ancora viva; poi li uccide come [una] belva nel tempo antico (=abituata alla ferocia); priva molti de[lla] vita e se stesso di onore. 63
Esce insanguinato dalla selva malvagia; la lascia in tale stato, che da qui a mille anni [essa] non si rivestirà di alberi come nella condizione primitiva”. 66
Come alla notizia di dolorose sventure il viso di colui che ascolta si turba, da qualunque parte il pericolo lo azzanni, 69
così io vidi l’altra anima (=Rinieri da Calboli), che stava girata ad ascoltare, turbarsi e diventare triste, dopo che ebbe compreso quelle parole. 72
Le parole dell’una (=di Guido) e l’aspetto dell’altra (=di Ranieri) mi resero desideroso di conoscere [i] loro nomi e ne feci richiesta con preghiere; 75
per cui lo spirito che prima mi aveva parlato ricominciò: «Tu vuoi che io mi induca a fare a te ciò che tu non vuoi fare a me (=rivelare il nome). 78
Ma dal momento che Dio vuole che in te traspaia tanto [luminosamente la] sua grazia, non sarò avaro [di notizie] nei tuoi confronti; perciò sappi che io fui Guido del Duca. 81
Il mio sangue (=la mia anima) arse tanto di invidia, che se avesse visto [un] uomo allietarsi, mi avresti visto cosparso di livore. 84
Raccolgo [una] tale paglia (=raccolgo tale frutto) da[l] mio seme; o uomini, perchè volgete il cuore là (=ai beni materiali) dove è necessaria [l’] esclusione di [un] compagno [che vi partecipi]? 87
Questi è Ranieri; questi è il prestigio e l’onore della casata dei Calboli, nella quale nessuno poi si è fatto erede della sua virtù. 90
E non solamente i suoi discendenti sono diventati privi delle virtù necessarie al vero e al bene, tra il Po e gli Appennini e il mare e il Reno (=in Romagna); 93
perchè dentro a questi confini (=al terreno nominato) è così pieno di sterpi velenosi che, per quanto si coltivi, verrebbero estirpati [troppo] tardi. 96
Dov’è il buon Lizio (=Lizio di Valbona) e [dov’è] Arrigo Mainardi? [E] Piero Traversaro e Guido di Carpegna? Oh Romagnoli tramutati in bastardi! 99
Quando tornerà di nuovo a Bologna un Fabbro (=Fabbro dei Lambertazzi)? quando a Faenza un Bernardino di Fosco, nobile ramo di [un’] erba umile (=cresciuto da famiglia di umili origini)? 102
Non meravigliarti, Toscano, se io piango quando ricordo [insieme] con Guido da Prata, Ugolino d'Azzo che visse con noi, 105
Federigo Tignoso e [la] sua compagnia, la famiglia Traversari e gli Anastagi (l’una e l’altra famiglia è senza eredi), 108
e [le] donne e i cavalieri, le fatiche [militari] e i piaceri [signorili] a cui amore e cortesia ci invogliavano là (=in Romagna) dove [ora] i cuori sono diventati così malvagi. 111
O Bertinoro, perché non scompari [dal mondo], dopo che i tuoi signori e molta altra gente (=molti altri nobili) si sono [già] estinti per non diventare malvagi? 114
Fa bene Bagnacavallo (=fanno bene i signori Malvicini di Bagnocavallo), poichè non si rinnova nei figli (=non lascia eredi); e fa male Castrocaro, e peggio Conio, che si ostinano a generare conti tali (=così degeneri). 117
Opereranno bene i Pagani (=signori di Faenza) dopo che il loro demonio (=Maghinardo di Susinana: l’ultimo discendente) morirà; ma non per questo rimarrà di loro [un] ricordo onorevole. 120
O Ugolino dei Fantolini, la tua fama è al sicuro, poichè non si aspetta più chi, deviando, possa oscurarla. 123
Ma ormai va’ via, Toscano; perchè ora ho più voglia di piangere che di parlare, tanto [il] nostro ragionare mi ha angustiato l’animo». 126
Noi sapevamo che quelle anime care ci sentivano camminare; perciò, tacendo, ci rendevano fiduciosi in merito al [nostro] cammino (=ci rassicuravano sul fatto che eravamo sulla strada giusta). 129
Dopo che, procedendo, rimanemmo soli, la voce che risuonò dalla parte opposta [a noi] parve [una] folgore quando fende l’aria e diceva: 132
‘Mi ucciderà chiunque mi troverà’; e fuggì come [un] tuono che si dilegua, se improvvisamente squarcia le nuvole. 135
Appena il nostro udito fu lasciato tranquillo (=non udimmo più quella voce) da lei, ecco un’altra [voce] con così grande fragore che sembrò [un] tuono che segua immediatamente [un altro]: 138
«Io sono Aglauro che divenni sasso»; e allora, per avvicinarmi al poeta, feci un passo a destra e non in avanti. 141
L’aria ormai era silenziosa da ogni parte; ed egli mi disse: «Quello [che hai udito] fu il rigido morso (=il freno) che dovrebbe tenere l’uomo dentro i suoi limiti. 144
Ma voi [uomini] afferrate l’esca, così che l’amo del [vostro] antico avversario (=del demonio) vi attira a sè; e perciò a poco servono [il] freno o [il] richiamo. 147
Il cielo vi chiama e vi gira intorno, mostrandovi le sue bellezze eterne, eppure i vostri occhi guardano soltanto verso terra; 150
per questo Colui che vede tutto vi punisce». 151