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Canto XIX
Ne l’ora che non può ‘l calor diurno
intepidar più ‘l freddo de la luna,
vinto da terra, e talor da Saturno 3
Nell’ora in cui il calore del giorno non può più intiepidire il freddo della luna, vinto [dal freddo] de[lla] terra, e talora da [quello di] Saturno 3
- quando i geomanti lor Maggior Fortuna
veggiono in oriente, innanzi a l’alba,
surger per via che poco le sta bruna -, 6
-quando gli indovini vedono in oriente, prima dell’alba, [sorgere la] loro Fortuna Maggiore (= gruppo di astri nella costellazione dei Pesci), in [una] parte [del cielo] che [per] poco le rimane oscura (=nell’ora più fredda della notte)-, 6
mi venne in sogno una femmina balba,
ne li occhi guercia, e sovra i piè distorta,
con le man monche, e di colore scialba. 9
mi apparve in sogno una femmina balbuziente, guercia negli occhi, e storta nelle gambe (=sciancata), con le mani rattrappite, e smorta di colore. 9
Io la mirava; e come ‘l sol conforta
le fredde membra che la notte aggrava,
così lo sguardo mio le facea scorta 12
Io la osservavo attentamente; e come il sole rinfranca le membra infreddolite che la notte intorpidisce, così il mio sguardo le rendeva sciolta 12
la lingua, e poscia tutta la drizzava
in poco d’ora, e lo smarrito volto,
com’ amor vuol, così le colorava. 15
la lingua, e poi la raddrizzava tutta in poco tempo, e allo stesso modo le colorava il volto sbiancato, come l’amore richiede. 15
Poi ch’ell’avea ‘l parlar così disciolto,
cominciava a cantar sì, che con pena
da lei avrei mio intento rivolto. 18
Dopo che ella aveva così sciolto il linguaggio, cominciava a cantare in modo tale, che a stento avrei distolto da lei [la] mia attenzione. 18
«Io son», cantava, «io son dolce serena,
che’ marinari in mezzo mar dismago;
tanto son di piacere a sentir piena! 21
Cantava: «Io sono, io sono [una] dolce sirena, che incanta i marinai in mezzo [al] mare; tanto sono colma di piacere a essere udita! 21
Io volsi Ulisse del suo cammin vago
al canto mio; e qual meco s’ausa,
rado sen parte; sì tutto l’appago!». 24
Col mio canto io distolsi Ulisse dal suo cammino errabondo; e chi si abitua [a stare] con me, raramente se ne allontana; a tal punto lo appago pienamente!». 24
Ancor non era sua bocca richiusa,
quand’ una donna apparve santa e presta
lunghesso me per far colei confusa. 27
[La] sua bocca non si era ancora richiusa, quando apparve al mio fianco una donna santa e sollecita (=la Grazia) per smascherarla. 27
«O Virgilio, Virgilio, chi è questa?»,
fieramente dicea; ed el venìa
con li occhi fitti pur in quella onesta. 30
[La donna santa] diceva con sdegno: «O Virgilio, Virgilio, chi è costei?»; ed egli avanzava con gli occhi costantemente fissi su quella [donna] onesta. 30
L’altra prendea, e dinanzi l’apria
fendendo i drappi, e mostravami ‘l ventre;
quel mi svegliò col puzzo che n’uscia. 33
[Virgilio] afferrava l’altra [donna], e la scopriva davanti strappando[le] le vesti, e me [ne] mostrava il ventre; quello mi svegliò col puzzo che ne usciva. 33
Io mossi li occhi, e ‘l buon maestro: «Almen tre
voci t’ho messe!», dicea, «Surgi e vieni;
troviam l’aperta per la qual tu entre». 36
Io mossi gli occhi, e il valente maestro diceva: «Almeno tre inviti ti ho mandato! Alzati e vieni; troviamo l’apertura attraverso la quale tu possa entrare». 36
Sù mi levai, e tutti eran già pieni
de l’alto dì i giron del sacro monte,
e andavam col sol novo a le reni. 39
Mi alzai, e tutti i gironi del sacro monte erano già pieni della luce alta [sull’orizzonte], e camminavamo col sole [del] nuovo [giorno] alle spalle. 39
Seguendo lui, portava la mia fronte
come colui che l’ha di pensier carca,
che fa di sé un mezzo arco di ponte; 42
Seguendo lui, tenevo il mio capo come colui che l’ha pieno di pensieri, che fa con il corpo un mezzo arco di ponte (=camminando curvo); 42
quand’ io udi’ «Venite; qui si varca»
parlare in modo soave e benigno,
qual non si sente in questa mortal marca. 45
quando io sentii dire: «Venite; qui si passa», in modo soave e benevolo, come non si sente in questa terra mortale. 45
Con l’ali aperte, che parean di cigno,
volseci in sù colui che sì parlonne
tra due pareti del duro macigno. 48
Colui che ci parlò in tale modo, con le ali aperte, che sembravano [quelle] di [un] cigno, ci fece volgere verso l’alto tra due pareti della dura roccia. 48
Mosse le penne poi e ventilonne,
‘Qui lugent’ affermando esser beati,
ch’avran di consolar l’anime donne. 51
Poi mosse le ali e ci fece vento, affermando esser beati ‘Qui lugent’ (=coloro che piangono), perchè avranno le [loro] anime padrone di consolazione (=le loro anime saranno consolate). 51
«Che hai che pur inver’ la terra guati?»,
la guida mia incominciò a dirmi,
poco amendue da l’angel sormontati. 54
«Che hai che continui a guardare a terra?», cominciò a dirmi la mia guida, dopo che entrambi eravamo saliti [un] poco rispetto all’angelo. 54
E io: «Con tanta sospeccion fa irmi
novella vision ch’a sé mi piega,
sì ch’io non posso dal pensar partirmi». 57
E io: «Mi fa andare con tanta perplessità [una] visione recente che mi attira a sè, tanto che io non posso staccarmi da quel pensiero». 57
«Vedesti», disse, «quell’antica strega
che sola sovr’ a noi omai si piagne;
vedesti come l’uom da lei si slega. 60
Disse: «Hai visto quella antica maliarda l’unica che ormai espia sopra di noi (=nei tre gironi superiori); hai visto come l’uomo si libera da lei. 60
Bastiti, e batti a terra le calcagne;
li occhi rivolgi al logoro che gira
lo rege etterno con le rote magne». 63
Ti basti, e affretta il passo; rivolgi gli occhi al richiamo che il re eterno (=Dio) fa ruotare con le con le sfere celesti». 63
Quale ‘l falcon, che prima a’ pié si mira,
indi si volge al grido e si protende
per lo disio del pasto che là il tira, 66
Come il falcone che prima si guarda le zampe, poi si volge al grido [del falconiere] e si protende [verso l’alto] per il desidero del pasto che lo attira là, 66
tal mi fec’ io; e tal, quanto si fende
la roccia per dar via a chi va suso,
n’andai infin dove ‘l cerchiar si prende. 69
tale mi feci io; e tale salii quel tratto, per quanto è tagliata la roccia per offrire [il] passaggio a chi va su, fino a dove si riprende a camminare in cerchio. 69
Com’io nel quinto giro fui dischiuso,
vidi gente per esso che piangea,
giacendo a terra tutta volta in giuso. 72
Appena io uscii dal chiuso [delle pareti] nel quinto girone, vidi [delle] anime lungo esso che piangevano, giacendo a terra completamente rivolte verso il suolo. 72
’Adhaesit pavimento anima mea’
sentia dir lor con sì alti sospiri,
che la parola a pena s’intendea. 75
‘Adhaesit pavimento anima mea’ (=‘L’anima mia è attaccata al suolo’) sentivo dire loro con sospiri così profondi che le parole si intendevano appena. 75
«O eletti di Dio, li cui soffriri
e giustizia e speranza fa men duri,
drizzate noi verso li alti saliri». 78
«O eletti di Dio, le cui sofferenze giustizia e speranza rendono meno dure, indirizzateci verso i gradini superiori». 78
«Se voi venite dal giacer sicuri,
e volete trovar la via più tosto,
le vostre destre sien sempre di fori». 81
«Se voi venite immuni dal[la pena del] giacere, e volete trovare la via più velocemente, la vostra destra sia sempre dalla parte esterna (=procedete a destra)». 81
Così pregò ‘l poeta, e sì risposto
poco dinanzi a noi ne fu; per ch’io
nel parlare avvisai l’altro nascosto, 84
Così pregò il poeta, e così ci fu risposto poco davanti a noi; per cui io dalle parole scoprii l’altro [che stava] nascosto (=identificai chi parlava), 84
e volsi li occhi a li occhi al segnor mio:
ond’ elli m’assentì con lieto cenno
ciò che chiedea la vista del disio. 87
e volsi gli occhi verso gli occhi della mia giuda: per cui lui acconsentì con [un] cenno compiacente a ciò che chiedeva il [mio] sguardo desideroso. 87
Poi ch’io potei di me fare a mio senno,
trassimi sovra quella creatura
le cui parole pria notar mi fenno, 90
Dopo che io potei disporre di me a mio piacimento, mi accostai a quella creatura le cui parole prima avevano richiamato la mia attenzione, 90
dicendo: «Spirto in cui pianger matura
quel sanza ‘l quale a Dio tornar non pòssi,
sosta un poco per me tua maggior cura. 93
dicendo: «Spirito in cui [il] pianto fa maturare quello (=il frutto della penitenza) senza il quale non si può tornare a Dio, interrompi un poco per me [la] tua occupazione maggiore (=la penitenza). 93
Chi fosti e perché vòlti avete i dossi
al sù, mi dì, e se vuo’ ch’io t’impetri
cosa di là ond’ io vivendo mossi». 96
Dimmi chi fosti e perchè avete le schiene volte in su, e se vuoi che io ottenga per te qualcosa di là (=sulla terra) da cui io venni [essendo] ancora vivo». 96
Ed elli a me: «Perché i nostri diretri
rivolga il cielo a sé, saprai; ma prima
scias quod ego fui successor Petri. 99
Ed egli a me: «Saprai perchè il cielo fa rivolgere a sè le nostre schiene; ma prima scias quod ego fui successor Petri (=sappi che io fui successore di Pietro). 99
Intra Sestri e Chiaveri s’adima
una fiumana bella, e del suo nome
lo titol del mio sangue fa sua cima. 102
Tra Sestri (=Sestri Levante) e Chiavari discende un bel fiume (=il Lavagna), e dal suo nome trae la sua origine il titolo [nobiliare] della mia famiglia (=i Fieschi). 102
Un mese è poco più prova’ io come
pesa il gran manto a chi dal fango il guarda,
che piuma sembran tutte l’altre some. 105
Per poco più di un mese io sperimentai come pesa il grande manto [papale] per chi lo preserva dal fango, [tanto] che [al confronto] tutti gli altri pesi sembrano piume. 105
La mia conversione, omè!, fu tarda;
ma, come fatto fui roman pastore,
così scopersi la vita bugiarda. 108
La mia conversione, ahimè! fu tardiva (=mi pentii in fin di vita); ma, appena fui eletto pastore romano (=vescovo di Roma), scoprii subito [quant’è] menzognera la vita [terrena]. 108
Vidi che lì non s’acquetava il core,
né più salir potiesi in quella vita;
per che di questa in me s’accese amore. 111
Vidi che lì (=nella carica di pontefice) il [mio] cuore non trovava pace, nè si poteva salire di più in quella vita (=non si poteva raggiungere una carica più alta); per cui si accese in me [l’] amore per questa (=per la vita spirituale). 111
Fino a quel punto misera e partita
da Dio anima fui, del tutto avara;
or, come vedi, qui ne son punita. 114
Fino a quel momento fui [un’] anima miserabile e divisa da Dio, del tutto avara; ora, come vedi, qui sono punita per questo. 114
Quel ch’avarizia fa, qui si dichiara
in purgazion de l’anime converse;
e nulla pena il monte ha più amara. 117
Ciò che l’avarizia (=la cupidigia) produce si manifesta qui nell’espiazione delle anime convertitesi (nella pena data in espiazione alle anime che si sono convertite); e il monte non ha nessuna pena più amara. 117
Sì come l’occhio nostro non s’aderse
in alto, fisso a le cose terrene,
così giustizia qui a terra il merse. 120
Così come il nostro occhio, fisso alle cose terrene, non si alzò al cielo, così qui [la] giustizia [divina] lo abbassò a terra. 120
Come avarizia spense a ciascun bene
lo nostro amore, onde operar perdési,
così giustizia qui stretti ne tene, 123
Come [l’] avarizia (=la cupidigia) spense il nostro amore per ogni bene, per cui si perse [l’] operare (=l’occasione di fare il bene), così [la] giustizia [divina] ci tiene stretti qui, 123
ne’ piedi e ne le man legati e presi;
e quanto fia piacer del giusto Sire,
tanto staremo immobili e distesi». 126
legati e avvinti nelle mani e nei piedi; e staremo immobili e distesi tanto quanto procurerà piacere al giusto Signore». 126
Io m’era inginocchiato e volea dire;
ma com’ io cominciai ed el s’accorse,
solo ascoltando, del mio reverire, 129
Io mi ero inginocchiato e volevo parlare; ma appena io cominciai ed egli si accorse, solo ascoltando [la mia voce], della mia reverenza, 129
«Qual cagion», disse, «in giù così ti torse?».
E io a lui: «Per vostra dignitate
mia coscienza dritto mi rimorse». 132
disse: «Quale motivo ti piegò così in basso?». E io a lui: «Per [la] vostra dignità [di pontefice] (=Adriano V) [la] mia coscienza mi fece provar rimorso [di stare] dritto». 132
«Drizza le gambe, lèvati sù, frate!»,
rispuose; «non errar: conservo sono
teco e con li altri ad una podestate. 135
Rispose: «Drizza le gambe, alzati, fratello! non sbagliare: sono [un] servo di un’[unica] autorità insieme a te e agli altri. 135
Se mai quel santo evangelico suono
che dice ‘Neque nubent’ intendesti,
ben puoi veder perch’io così ragiono. 138
Se mai hai compreso quelle sante parole evangeliche che dicono ‘Neque nubent’ (=Nè sposeranno), puoi ben capire perchè io ragiono così. 138
Vattene omai: non vo’ che più t’arresti;
ché la tua stanza mio pianger disagia,
col qual maturo ciò che tu dicesti. 141
Prosegui ormai: non voglio che tu ti trattenga ancora; perchè la tua permanenza impedisce [il] mio pianto [espiatorio], col quale faccio maturare ciò che tu dicesti (=la purificazione). 141
Nepote ho io di là c’ha nome Alagia,
buona da sé, pur che la nostra casa
non faccia lei per essempro malvagia; 144
Io di là (=sulla terra) ho [una] nipote che si chiama Alagia, buona per sua natura, purchè la nostra famiglia non la renda malvagia con [il] [cattivo] esempio; 144
e questa sola di là m’è rimasa». 145
e questa sola mi è rimasta di là (=sulla terra). 145
🖥️ Parafrasi affiancata
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Canto XIX
Ne l’ora che non può ‘l calor diurno
intepidar più ‘l freddo de la luna,
vinto da terra, e talor da Saturno 3
- quando i geomanti lor Maggior Fortuna
veggiono in oriente, innanzi a l’alba,
surger per via che poco le sta bruna -, 6
mi venne in sogno una femmina balba,
ne li occhi guercia, e sovra i piè distorta,
con le man monche, e di colore scialba. 9
Io la mirava; e come ‘l sol conforta
le fredde membra che la notte aggrava,
così lo sguardo mio le facea scorta 12
la lingua, e poscia tutta la drizzava
in poco d’ora, e lo smarrito volto,
com’ amor vuol, così le colorava. 15
Poi ch’ell’avea ‘l parlar così disciolto,
cominciava a cantar sì, che con pena
da lei avrei mio intento rivolto. 18
«Io son», cantava, «io son dolce serena,
che’ marinari in mezzo mar dismago;
tanto son di piacere a sentir piena! 21
Io volsi Ulisse del suo cammin vago
al canto mio; e qual meco s’ausa,
rado sen parte; sì tutto l’appago!». 24
Ancor non era sua bocca richiusa,
quand’ una donna apparve santa e presta
lunghesso me per far colei confusa. 27
«O Virgilio, Virgilio, chi è questa?»,
fieramente dicea; ed el venìa
con li occhi fitti pur in quella onesta. 30
L’altra prendea, e dinanzi l’apria
fendendo i drappi, e mostravami ‘l ventre;
quel mi svegliò col puzzo che n’uscia. 33
Io mossi li occhi, e ‘l buon maestro: «Almen trevoci t’ho messe!», dicea, «Surgi e vieni;
troviam l’aperta per la qual tu entre». 36
Sù mi levai, e tutti eran già pieni
de l’alto dì i giron del sacro monte,
e andavam col sol novo a le reni. 39
Seguendo lui, portava la mia fronte
come colui che l’ha di pensier carca,
che fa di sé un mezzo arco di ponte; 42
quand’ io udi’ «Venite; qui si varca»
parlare in modo soave e benigno,
qual non si sente in questa mortal marca. 45
Con l’ali aperte, che parean di cigno,
volseci in sù colui che sì parlonne
tra due pareti del duro macigno. 48
Mosse le penne poi e ventilonne,
‘Qui lugent’ affermando esser beati,
ch’avran di consolar l’anime donne. 51
«Che hai che pur inver’ la terra guati?»,
la guida mia incominciò a dirmi,
poco amendue da l’angel sormontati. 54
E io: «Con tanta sospeccion fa irmi
novella vision ch’a sé mi piega,
sì ch’io non posso dal pensar partirmi». 57
«Vedesti», disse, «quell’antica strega
che sola sovr’ a noi omai si piagne;
vedesti come l’uom da lei si slega. 60
Bastiti, e batti a terra le calcagne;
li occhi rivolgi al logoro che gira
lo rege etterno con le rote magne». 63
1Quale ‘l falcon, che prima a’ pié si mira,
indi si volge al grido e si protende
per lo disio del pasto che là il tira, 66
tal mi fec’ io; e tal, quanto si fende
la roccia per dar via a chi va suso,
n’andai infin dove ‘l cerchiar si prende. 69
Com’io nel quinto giro fui dischiuso,
vidi gente per esso che piangea,
giacendo a terra tutta volta in giuso. 72
’Adhaesit pavimento anima mea’
sentia dir lor con sì alti sospiri,
che la parola a pena s’intendea. 75
«O eletti di Dio, li cui soffriri
e giustizia e speranza fa men duri,
drizzate noi verso li alti saliri». 78
«Se voi venite dal giacer sicuri,
e volete trovar la via più tosto,
le vostre destre sien sempre di fori». 81
Così pregò ‘l poeta, e sì risposto
poco dinanzi a noi ne fu; per ch’io
nel parlare avvisai l’altro nascosto, 84
e volsi li occhi a li occhi al segnor mio:
ond’ elli m’assentì con lieto cenno
ciò che chiedea la vista del disio. 87
Poi ch’io potei di me fare a mio senno,
trassimi sovra quella creatura
le cui parole pria notar mi fenno, 90
dicendo: «Spirto in cui pianger matura
quel sanza ‘l quale a Dio tornar non pòssi,
sosta un poco per me tua maggior cura. 93
Chi fosti e perché vòlti avete i dossi
al sù, mi dì, e se vuo’ ch’io t’impetri
cosa di là ond’ io vivendo mossi». 96
Ed elli a me: «Perché i nostri diretri
rivolga il cielo a sé, saprai; ma prima
scias quod ego fui successor Petri. 99
Intra Sestri e Chiaveri s’adima
una fiumana bella, e del suo nome
lo titol del mio sangue fa sua cima. 102
Un mese è poco più prova’ io come
pesa il gran manto a chi dal fango il guarda,
che piuma sembran tutte l’altre some. 105
La mia conversione, omè!, fu tarda;
ma, come fatto fui roman pastore,
così scopersi la vita bugiarda. 108
Vidi che lì non s’acquetava il core,
né più salir potiesi in quella vita;
per che di questa in me s’accese amore. 111
Fino a quel punto misera e partita
da Dio anima fui, del tutto avara;
or, come vedi, qui ne son punita. 114
Quel ch’avarizia fa, qui si dichiara
in purgazion de l’anime converse;
e nulla pena il monte ha più amara. 117
Sì come l’occhio nostro non s’aderse
in alto, fisso a le cose terrene,
così giustizia qui a terra il merse. 120
Come avarizia spense a ciascun bene
lo nostro amore, onde operar perdési,
così giustizia qui stretti ne tene, 123
ne’ piedi e ne le man legati e presi;
e quanto fia piacer del giusto Sire,
tanto staremo immobili e distesi». 126
Io m’era inginocchiato e volea dire;
ma com’ io cominciai ed el s’accorse,
solo ascoltando, del mio reverire, 129
«Qual cagion», disse, «in giù così ti torse?».
E io a lui: «Per vostra dignitate
mia coscienza dritto mi rimorse». 132
«Drizza le gambe, lèvati sù, frate!»,
rispuose; «non errar: conservo sono
teco e con li altri ad una podestate. 135
Se mai quel santo evangelico suono
che dice ‘Neque nubent’ intendesti,
ben puoi veder perch’io così ragiono. 138
Vattene omai: non vo’ che più t’arresti;
ché la tua stanza mio pianger disagia,
col qual maturo ciò che tu dicesti. 141
Nepote ho io di là c’ha nome Alagia,
buona da sé, pur che la nostra casa
non faccia lei per essempro malvagia; 144
e questa sola di là m’è rimasa». 145
Canto XIX
Nell’ora in cui il calore del giorno non può più intiepidire il freddo della luna, vinto [dal freddo] de[lla] terra, e talora da [quello di] Saturno 3
-quando gli indovini vedono in oriente, prima dell’alba, [sorgere la] loro Fortuna Maggiore (= gruppo di astri nella costellazione dei Pesci), in [una] parte [del cielo] che [per] poco le rimane oscura (=nell’ora più fredda della notte)-, 6
mi apparve in sogno una femmina balbuziente, guercia negli occhi, e storta nelle gambe (=sciancata), con le mani rattrappite, e smorta di colore. 9
Io la osservavo attentamente; e come il sole rinfranca le membra infreddolite che la notte intorpidisce, così il mio sguardo le rendeva sciolta 12
la lingua, e poi la raddrizzava tutta in poco tempo, e allo stesso modo le colorava il volto sbiancato, come l’amore richiede. 15
Dopo che ella aveva così sciolto il linguaggio, cominciava a cantare in modo tale, che a stento avrei distolto da lei [la] mia attenzione. 18
Cantava: «Io sono, io sono [una] dolce sirena, che incanta i marinai in mezzo [al] mare; tanto sono colma di piacere a essere udita! 21
Col mio canto io distolsi Ulisse dal suo cammino errabondo; e chi si abitua [a stare] con me, raramente se ne allontana; a tal punto lo appago pienamente!». 24
[La] sua bocca non si era ancora richiusa, quando apparve al mio fianco una donna santa e sollecita (=la Grazia) per smascherarla. 27
[La donna santa] diceva con sdegno: «O Virgilio, Virgilio, chi è costei?»; ed egli avanzava con gli occhi costantemente fissi su quella [donna] onesta. 30
[Virgilio] afferrava l’altra [donna], e la scopriva davanti strappando[le] le vesti, e me [ne] mostrava il ventre; quello mi svegliò col puzzo che ne usciva. 33
Io mossi gli occhi, e il valente maestro diceva: «Almeno tre inviti ti ho mandato! Alzati e vieni;
troviamo l’apertura attraverso la quale tu possa entrare». 36
Mi alzai, e tutti i gironi del sacro monte erano già pieni della luce alta [sull’orizzonte], e camminavamo col sole [del] nuovo [giorno] alle spalle. 39
Seguendo lui, tenevo il mio capo come colui che l’ha pieno di pensieri, che fa con il corpo un mezzo arco di ponte (=camminando curvo); 42
quando io sentii dire: «Venite; qui si passa», in modo soave e benevolo, come non si sente in questa terra mortale. 45
Colui che ci parlò in tale modo, con le ali aperte, che sembravano [quelle] di [un] cigno, ci fece volgere verso l’alto tra due pareti della dura roccia. 48
Poi mosse le ali e ci fece vento, affermando esser beati ‘Qui lugent’ (=coloro che piangono), perchè avranno le [loro] anime padrone di consolazione (=le loro anime saranno consolate). 51
«Che hai che continui a guardare a terra?», cominciò a dirmi la mia guida, dopo che entrambi eravamo saliti [un] poco rispetto all’angelo. 54
E io: «Mi fa andare con tanta perplessità [una] visione recente che mi attira a sè, tanto che io non posso staccarmi da quel pensiero». 57
Disse: «Hai visto quella antica maliarda l’unica che ormai espia sopra di noi (=nei tre gironi superiori); hai visto come l’uomo si libera da lei. 60
Ti basti, e affretta il passo1; rivolgi gli occhi al richiamo che il re eterno (=Dio) fa ruotare con le con le sfere celesti». 63
Come il falcone che prima si guarda le zampe, poi si volge al grido [del falconiere] e si protende [verso l’alto] per il desidero del pasto che lo attira là, 66
tale mi feci io; e tale salii quel tratto, per quanto è tagliata la roccia per offrire [il] passaggio a chi va su, fino a dove si riprende a camminare in cerchio. 69
Appena io uscii dal chiuso [delle pareti] nel quinto girone, vidi [delle] anime lungo esso che piangevano, giacendo a terra completamente rivolte verso il suolo. 72
‘Adhaesit pavimento anima mea’ (=‘L’anima mia è attaccata al suolo’) sentivo dire loro con sospiri così profondi che le parole si intendevano appena. 75
«O eletti di Dio, le cui sofferenze giustizia e speranza rendono meno dure, indirizzateci verso i gradini superiori». 78
«Se voi venite immuni dal[la pena del] giacere, e volete trovare la via più velocemente, la vostra destra sia sempre dalla parte esterna (=procedete a destra)». 81
Così pregò il poeta, e così ci fu risposto poco davanti a noi; per cui io dalle parole scoprii l’altro [che stava] nascosto (=identificai chi parlava), 84
e volsi gli occhi verso gli occhi della mia giuda: per cui lui acconsentì con [un] cenno compiacente a ciò che chiedeva il [mio] sguardo desideroso. 87
Dopo che io potei disporre di me a mio piacimento, mi accostai a quella creatura le cui parole prima avevano richiamato la mia attenzione, 90
dicendo: «Spirito in cui [il] pianto fa maturare quello (=il frutto della penitenza) senza il quale non si può tornare a Dio, interrompi un poco per me [la] tua occupazione maggiore (=la penitenza). 93
Dimmi chi fosti e perchè avete le schiene volte in su, e se vuoi che io ottenga per te qualcosa di là (=sulla terra) da cui io venni [essendo] ancora vivo». 96
Ed egli a me: «Saprai perchè il cielo fa rivolgere a sè le nostre schiene; ma prima scias quod ego fui successor Petri (=sappi che io fui successore di Pietro). 99
Tra Sestri (=Sestri Levante) e Chiavari discende un bel fiume (=il Lavagna), e dal suo nome trae la sua origine il titolo [nobiliare] della mia famiglia (=i Fieschi). 102
Per poco più di un mese io sperimentai come pesa il grande manto [papale] per chi lo preserva dal fango, [tanto] che [al confronto] tutti gli altri pesi sembrano piume. 105
La mia conversione, ahimè! fu tardiva (=mi pentii in fin di vita); ma, appena fui eletto pastore romano (=vescovo di Roma), scoprii subito [quant’è] menzognera la vita [terrena]. 108
Vidi che lì (=nella carica di pontefice) il [mio] cuore non trovava pace, nè si poteva salire di più in quella vita (=non si poteva raggiungere una carica più alta); per cui si accese in me [l’] amore per questa (=per la vita spirituale). 111
Fino a quel momento fui [un’] anima miserabile e divisa da Dio, del tutto avara; ora, come vedi, qui sono punita per questo. 114
Ciò che l’avarizia (=la cupidigia) produce si manifesta qui nell’espiazione delle anime convertitesi (nella pena data in espiazione alle anime che si sono convertite); e il monte non ha nessuna pena più amara. 117
Così come il nostro occhio, fisso alle cose terrene, non si alzò al cielo, così qui [la] giustizia [divina] lo abbassò a terra. 120
Come [l’] avarizia (=la cupidigia) spense il nostro amore per ogni bene, per cui si perse [l’] operare (=l’occasione di fare il bene), così [la] giustizia [divina] ci tiene stretti qui, 123
legati e avvinti nelle mani e nei piedi; e staremo immobili e distesi tanto quanto procurerà piacere al giusto Signore». 126
Io mi ero inginocchiato e volevo parlare; ma appena io cominciai ed egli si accorse, solo ascoltando [la mia voce], della mia reverenza, 129
disse: «Quale motivo ti piegò così in basso?». E io a lui: «Per [la] vostra dignità [di pontefice] (=Adriano V) [la] mia coscienza mi fece provar rimorso [di stare] dritto». 132
Rispose: «Drizza le gambe, alzati, fratello! non sbagliare: sono [un] servo di un’[unica] autorità insieme a te e agli altri. 135
Se mai hai compreso quelle sante parole evangeliche che dicono ‘Neque nubent’ (=Nè sposeranno), puoi ben capire perchè io ragiono così. 138
Prosegui ormai: non voglio che tu ti trattenga ancora; perchè la tua permanenza impedisce [il] mio pianto [espiatorio], col quale faccio maturare ciò che tu dicesti (=la purificazione). 141
Io di là (=sulla terra) ho [una] nipote che si chiama Alagia, buona per sua natura, purchè la nostra famiglia non la renda malvagia con [il] [cattivo] esempio; 144
e questa sola mi è rimasta di là (=sulla terra). 145