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Canto XX
Contra miglior voler voler mal pugna;
onde contra ‘l piacer mio, per piacerli,
trassi de l’acqua non sazia la spugna. 3
Contro [una] volontà migliore, [un’altra volontà] combatte male; perciò, per compiacerlo, contro il mio desiderio, trassi dall’acqua la spugna non satura. 3
Mossimi; e ‘l duca mio si mosse per li
luoghi spediti pur lungo la roccia,
come si va per muro stretto a’ merli; 6
Mi mossi; e la mia guida si mosse attraverso gli spazi liberi, [tenendosi] sempre rasente la roccia, come si va su[lle] mura [di un castello] vicino ai merli; 6
ché la gente che fonde a goccia a goccia
per li occhi il mal che tutto ‘l mondo occupa,
da l’altra parte in fuor troppo s’approccia. 9
perchè le anime che sciolgono (=scontano), goccia a goccia, attraverso gli occhi, il male (=la cupidigia) che invade tutto il mondo, dall’altra parte si avvicinano troppo all’orlo [della cornice]. 9
Maladetta sie tu, antica lupa,
che più che tutte l’altre bestie hai preda
per la tua fame sanza fine cupa! 12
Maledetta sii tu, antica lupa, che più di tutte le altre belve (=gli altri vizi) catturi prede per la tua fame profonda senza fine! 12
O ciel, nel cui girar par che si creda
le condizion di qua giù trasmutarsi,
quando verrà per cui questa disceda? 15
O cielo, nel cui movimento sembra che alcuni individuino la causa dei mutamenti di quaggiù, quando verrà [colui] per opera del quale questa (=la lupa) andrà via? 15
Noi andavam con passi lenti e scarsi,
e io attento a l’ombre, ch’i’ sentia
pietosamente piangere e lagnarsi; 18
Noi andavamo a passi lenti e corti, e io [ero] attento alle ombre, che io udivo piangere e lamentarsi in modo da destare pietà; 18
e per ventura udi’ «Dolce Maria!»
dinanzi a noi chiamar così nel pianto
come fa donna che in parturir sia; 21
e casualmente udii davanti a noi invocare «Dolce Maria!», in un pianto [simile] a quello che fa [una] donna che sta per partorire; 21
e seguitar: «Povera fosti tanto,
quanto veder si può per quello ospizio
dove sponesti il tuo portato santo». 24
e proseguire: «Fosti tanto povera, quanto si può vedere da quel luogo che ti ospitò (=dalla stalla) dove deponesti la santa [creatura] che portavi in seno». 24
Seguentemente intesi: «O buon Fabrizio,
con povertà volesti anzi virtute
che gran ricchezza posseder con vizio». 27
Successivamente udii: «O valente Fabrizio, volesti possedere virtù con povertà piuttosto che grandi ricchezze con vizio». 27
Queste parole m’eran sì piaciute,
ch’io mi trassi oltre per aver contezza
di quello spirto onde parean venute. 30
Queste parole mi erano così piaciute, che mi spinsi più avanti per conoscere quello spirito da cui sembravano [essere] venute. 30
Esso parlava ancor de la larghezza
che fece Niccolò a le pulcelle,
per condurre ad onor lor giovinezza. 33
Questo parlava anche della liberalità che usò Niccolò (=San Niccolò) verso [alcune] fanciulle, perchè conducessero [la] loro giovinezza con onestà. 33
«O anima che tanto ben favelle,
dimmi chi fosti», dissi, «e perché sola
tu queste degne lode rinovelle. 36
Dissi: «O anima che riporti esempi di bontà così grandi, dimmi chi fosti, e perché tu sola ripeti queste nobili azioni degne di lode. 36
Non fia sanza mercé la tua parola,
s’io ritorno a compiér lo cammin corto
di quella vita ch’al termine vola». 39
Le tue parole non saranno (=rimarranno) senza ricompensa, se è vero che io tornerò [sulla terra] a compiere il breve cammino di quella vita che vola verso il termine». 39
Ed elli: «Io ti dirò, non per conforto
ch’io attenda di là, ma perché tanta
grazia in te luce prima che sie morto. 42
Ed egli: «Io ti risponderò, non perchè io attenda di là (=sulla terra) preghiere e opere buone, ma perchè in te risplende tanta grazia [divina], prima che [tu] sia morto. 42
Io fui radice de la mala pianta
che la terra cristiana tutta aduggia,
sì che buon frutto rado se ne schianta. 45
Io fui [la] radice (=il capostipite) della pianta (=stirpe) malvagia (=i Capetingi) che fa ombra (=nuoce) a tutta la terra cristiana (=a tutta la cristianità), così che raramente se ne coglie [un] frutto buono. 45
Ma se Doagio, Lilla, Guanto e Bruggia
potesser, tosto ne saria vendetta;
e io la cheggio a lui che tutto giuggia. 48
Ma se [le città di] Douai, Lilla, Gand e Bruges potessero, presto avverrebbe [la] vendetta; e io la chiedo a colui che giudica tutto (=a Dio). 48
Chiamato fui di là Ugo Ciappetta;
di me son nati i Filippi e i Luigi
per cui novellamente è Francia retta. 51
Di là (=sulla terra) fui chiamato Ugo Capeto; da me sono nati i Filippi e i Luigi, dai quali ultimamente è governata [la] Francia. 51
Figliuol fu’ io d’un beccaio di Parigi:
quando li regi antichi venner meno
tutti, fuor ch’un renduto in panni bigi, 54
Io fui figlio di un beccaio (=macellaio e commerciante di carni) di Parigi; quando i re antichi (=dell’antica dinastia carolingia) si estinsero tutti, tranne uno che vestì l’abito monacale, 54
trova’mi stretto ne le mani il freno
del governo del regno, e tanta possa
di nuovo acquisto, e sì d’amici pieno, 57
mi trovai strette nelle mani le redini del governo del regno, e [mi trovai] tanta potenza di nuove ricchezze, e tanto numero di fautori, 57
ch’a la corona vedova promossa
la testa di mio figlio fu, dal quale
cominciar di costor le sacrate ossa. 60
che alla corona vacante fu destinata la testa di mio figlio, [a partire] dal quale cominciarono [ad essere] consacrate le ossa di costoro. 60
Mentre che la gran dota provenzale
al sangue mio non tolse la vergogna,
poco valea, ma pur non facea male. 63
Finchè la grande dote [della contea] di Provenza non tolse ogni pudore alla mia discendenza, [questa] valeva poco, ma almeno non praticava il male. 63
Lì cominciò con forza e con menzogna
la sua rapina; e poscia, per ammenda,
Pontì e Normandia prese e Guascogna. 66
Da quel momento [la mia discendenza] cominciò la sua [opera di] rapina con [la] violenza e con [l’] inganno; e poi, per [fare] ammenda, conquistò Ponthieu e [la] Normandia e [la] Guascogna. 66
Carlo venne in Italia e, per ammenda,
vittima fé di Curradino; e poi
ripinse al ciel Tommaso, per ammenda. 69
Carlo [d’Angiò] venne in Italia e, per [fare] ammenda, fece uccidere Corradino [di Svevia]; poi, [sempre] per [fare] ammenda, fece risalire al cielo Tommaso [d’Aquino]. 69
Tempo vegg’io, non molto dopo ancoi,
che tragge un altro Carlo fuor di Francia,
per far conoscer meglio e sé e ‘ suoi. 72
Io vedo [un] tempo, non molto lontano da oggi, in cui un altro Carlo (=Carlo di Valois) esce fuori da[lla] Francia, per far conoscere meglio sè e i suoi (=la sua stirpe). 72
Sanz’arme n’esce e solo con la lancia
con la qual giostrò Giuda, e quella ponta
sì ch’a Fiorenza fa scoppiar la pancia. 75
Ne esce senza armi e solo con la lancia (=con la frode) con la quale aveva combattuto Giuda, e punta quella così da far scoppiare il ventre a Firenze. 75
Quindi non terra, ma peccato e onta
guadagnerà, per sé tanto più grave,
quanto più lieve simil danno conta. 78
Da ciò non guadagnerà terre, ma peccato e vergogna, per lui [cosa] tanto più grave, quanto più [egli] considera lieve [un] simile danno (=peccato e vergogna). 78
L’altro, che già uscì preso di nave,
veggio vender sua figlia e patteggiarne
come fanno i corsar de l’altre schiave. 81
Vedo l’altro (=Carlo II d’Angiò), che qualche tempo fa uscì [già] prigioniero da[lla sua] nave, vendere sua figlia (=Beatrice) e patteggiarla come i corsari fanno con le figlie degli altri ridotte schiave. 81
O avarizia, che puoi tu più farne,
poscia c’ha’ il mio sangue a te sì tratto,
che non si cura de la propria carne? 84
O avarizia (=cupidigia), che altro puoi farci, dal momento che hai attratto a te la mia stirpe, a tal punto che non si cura della propria carne (=dei propri figli)? 84
Perché men paia il mal futuro e ‘l fatto,
veggio in Alagna intrar lo fiordaliso,
e nel vicario suo Cristo esser catto. 87
Perchè appaia minore il male futuro e quello [che è stato] fatto, vedo entrare in Anagni il giglio [di Francia], e Cristo essere catturato nel[la figura del] suo vicario (=il papa Bonifacio VIII). 87
Veggiolo un’altra volta esser deriso;
veggio rinovellar l’aceto e ‘l fiele,
e tra vivi ladroni esser anciso. 90
Lo vedo essere deriso un’altra volta; vedo rinnovarsi l’aceto e il fiele, e [lo vedo] essere ucciso tra ladroni [rimasti] vivi (=Filippo di Nogaret e Sciarra Colonna). 90
Veggio il novo Pilato sì crudele,
che ciò nol sazia, ma sanza decreto
portar nel Tempio le cupide vele. 93
Vedo il nuovo Pilato (=Filippo il Bello) così crudele che ciò non lo sazia, ma [lo vedo] spingere arbitrariamente le vele bramose nel Tempio, (=volgere la sua cupidigia contro i Templari). 93
O Segnor mio, quando sarò io lieto
a veder la vendetta che, nascosa,
fa dolce l’ira tua nel tuo secreto? 96
O Signore mio, quando io potrò allietarmi ne[l] vedere il giusto castigo che, nascosto [agli uomini], addolcisce la tua ira nel tuo segreto [consiglio]? 96
Ciò ch’io dicea di quell’unica sposa
de lo Spirito Santo e che ti fece
verso me volger per alcuna chiosa, 99
Ciò che io dicevo di quell’unica sposa dello Spirito Santo (=di Maria) e che ti fece volgere verso [di] me per [averne] qualche spiegazione, 99
tanto è risposto a tutte nostre prece
quanto ‘l dì dura; ma com’el s’annotta,
contrario suon prendemo in quella vece. 102
è responsorio a tutte [le] nostre preghiere per tanto [tempo] quanto dura il giorno; ma quando si fa notte, al loro posto proninciamo [esempi] di significato contrario. 102
Noi repetiam Pigmalion allotta,
cui traditore e ladro e paricida
fece la voglia sua de l’oro ghiotta; 105
Noi allora rievochiamo [l’esempio di] Pigmalione, che l’avida bramosia dell’oro rese traditore e ladro e uccisore di congiunti; 105
e la miseria de l’avaro Mida,
che seguì a la sua dimanda gorda,
per la qual sempre convien che si rida. 108
e [rievochiamo] la miserevole sorte dell’avido Mida, conseguenza della sua ingorda richiesta, per la quale è sempre necessario che si rida [di lui]. 108
Del folle Acàn ciascun poi si ricorda,
come furò le spoglie, sì che l’ira
di Iosuè qui par ch’ancor lo morda. 111
Ciascuno poi si ricorda del folle Acàn, di come rubò il bottino, tanto che qui sembra che l’ira di Giosuè lo colpisca ancora. 111
Indi accusiam col marito Saffira;
lodiam i calci ch’ebbe Eliodoro;
e in infamia tutto ‘l monte gira 114
Poi accusiamo Saffira col marito; lodiamo i calci che Eliodoro ricevette; e per infamia fa il giro di tutto il monte 114
Polinestòr ch’ancise Polidoro;
ultimamente ci si grida: "Crasso,
dilci, che ‘l sai: di che sapore è l’oro?". 117
[l’esempio di] Polinestore che uccise Polidoro; infine, qui si grida: "Crasso, diccelo che lo sai: di che sapore è l’oro?”. 117
Talor parla l’uno alto e l’altro basso,
secondo l’affezion ch’ad ir ci sprona
ora a maggiore e ora a minor passo: 120
Talora uno [di noi] parla a voce alta e un altro a voce bassa, a seconda del sentimento che ci sprona a incedere [nella corsa canora] ora a passo più svelto e ora più lento: 120
però al ben che ‘l dì ci si ragiona,
dianzi non era io sol; ma qui da presso
non alzava la voce altra persona». 123
perciò poco fa non ero io solo a [ricordare] gli esempi virtuosi che qui si dicono di giorno; ma qui vicino [nessun] altro alzava la voce». 123
Noi eravam partiti già da esso,
e brigavam di soverchiar la strada
tanto quanto al poder n’era permesso, 126
Noi ci eravamo già allontanati da lui, e ci davamo briga di avanzare sulla strada tanto quanto ci era consentito, 126
quand’io senti’, come cosa che cada,
tremar lo monte; onde mi prese un gelo
qual prender suol colui ch’a morte vada. 129
quando io sentii tremare il monte, come qualcosa che cada; per cui mi assalì un gelo che solitamente prende colui che va al supplizio. 129
Certo non si scoteo sì forte Delo,
pria che Latona in lei facesse ‘l nido
a parturir li due occhi del cielo. 132
Certo [l’isola di] Delo non fu scossa così violentemente, prima che Latona facesse in essa il nido (=la scegliesse come rifugio) per partorire i due occhi (=astri) del cielo (=Apollo e Diana: il sole e la luna). 132
Poi cominciò da tutte parti un grido
tal, che ‘l maestro inverso me si feo,
dicendo: «Non dubbiar, mentr’io ti guido». 135
Poi cominciò da tutte le parti un grido tale, che il maestro si avvicinò a me, dicendo: «Non temere, finchè io ti guido». 135
’Gloria in excelsis’ tutti ‘Deo’
dicean, per quel ch’io da’ vicin compresi,
onde intender lo grido si poteo. 138
’Gloria in excelsis Deo’ (=’Gloria a Dio nel più alto dei cieli’ ) dicevano tutti, per quel che io compresi dai vicini (=dalle anime vicine), dai quali si potè intendere il grido [collettivo]. 138
No’ istavamo immobili e sospesi
come i pastor che prima udir quel canto,
fin che ‘l tremar cessò ed el compiési. 141
Noi stavamo immobili ed esitanti come i pastori (=i pastori di Betlemme) che udirono quel canto per la prima volta, finchè il terremoto cessò e quello (=il canto) si concluse. 141
Poi ripigliammo nostro cammin santo,
guardando l’ombre che giacean per terra,
tornate già in su l’usato pianto. 144
Poi riprendemmo [il] nostro cammino santo, guardando le ombre che giacevano a terra, già tornate all’abituale pianto. 144
Nulla ignoranza mai con tanta guerra
mi fé desideroso di sapere,
se la memoria mia in ciò non erra, 147
Se la mia memoria non erra in ciò, nessuna ignoranza mi rese mai desideroso di sapere, con tanto tormento, 147
quanta pareami allor, pensando, avere;
né per la fretta dimandare er’oso,
né per me lì potea cosa vedere: 150
quanto mi pareva allora di aver[ne], pensando [alle ragioni del terremoto e del canto]; nè, per la fretta osavo domandare, nè da solo potevo vedere qualcosa in quei fatti; 150
così m’andava timido e pensoso. 151
così procedevo timoroso e pensieroso. 151
🖥️ Parafrasi affiancata
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Canto XX
Contra miglior voler voler mal pugna;
onde contra ‘l piacer mio, per piacerli,
trassi de l’acqua non sazia la spugna. 3
Mossimi; e ‘l duca mio si mosse per li
luoghi spediti pur lungo la roccia,
come si va per muro stretto a’ merli; 6
ché la gente che fonde a goccia a goccia
per li occhi il mal che tutto ‘l mondo occupa,
da l’altra parte in fuor troppo s’approccia. 9
Maladetta sie tu, antica lupa,
che più che tutte l’altre bestie hai preda
per la tua fame sanza fine cupa! 12
O ciel, nel cui girar par che si creda
le condizion di qua giù trasmutarsi,
quando verrà per cui questa disceda? 15
Noi andavam con passi lenti e scarsi,
e io attento a l’ombre, ch’i’ sentia
pietosamente piangere e lagnarsi; 18
e per ventura udi’ «Dolce Maria!»
dinanzi a noi chiamar così nel pianto
come fa donna che in parturir sia; 21
e seguitar: «Povera fosti tanto,
quanto veder si può per quello ospizio
dove sponesti il tuo portato santo». 24
Seguentemente intesi: «O buon Fabrizio,
con povertà volesti anzi virtute
che gran ricchezza posseder con vizio». 27
Queste parole m’eran sì piaciute,
ch’io mi trassi oltre per aver contezza
di quello spirto onde parean venute. 30
Esso parlava ancor de la larghezza
che fece Niccolò a le pulcelle,
per condurre ad onor lor giovinezza. 33
«O anima che tanto ben favelle,
dimmi chi fosti», dissi, «e perché sola
tu queste degne lode rinovelle. 36
Non fia sanza mercé la tua parola,
s’io ritorno a compiér lo cammin corto
di quella vita ch’al termine vola». 39
Ed elli: «Io ti dirò, non per conforto
ch’io attenda di là, ma perché tanta
grazia in te luce prima che sie morto. 42
Io fui radice de la mala pianta
che la terra cristiana tutta aduggia,
sì che buon frutto rado se ne schianta. 45
Ma se Doagio, Lilla, Guanto e Bruggia
potesser, tosto ne saria vendetta;
e io la cheggio a lui che tutto giuggia. 48
Chiamato fui di là Ugo Ciappetta;
di me son nati i Filippi e i Luigi
per cui novellamente è Francia retta. 51
Figliuol fu’ io d’un beccaio di Parigi:
quando li regi antichi venner meno
tutti, fuor ch’un renduto in panni bigi, 54
trova’mi stretto ne le mani il freno
del governo del regno, e tanta possa
di nuovo acquisto, e sì d’amici pieno, 57
ch’a la corona vedova promossa
la testa di mio figlio fu, dal quale
cominciar di costor le sacrate ossa. 60
Mentre che la gran dota provenzale
al sangue mio non tolse la vergogna,
poco valea, ma pur non facea male. 63
Lì cominciò con forza e con menzogna
la sua rapina; e poscia, per ammenda,
Pontì e Normandia prese e Guascogna. 66
Carlo venne in Italia e, per ammenda,
vittima fé di Curradino; e poi
ripinse al ciel Tommaso, per ammenda. 69
Tempo vegg’io, non molto dopo ancoi,
che tragge un altro Carlo fuor di Francia,
per far conoscer meglio e sé e ‘ suoi. 72
Sanz’arme n’esce e solo con la lancia
con la qual giostrò Giuda, e quella ponta
sì ch’a Fiorenza fa scoppiar la pancia. 75
Quindi non terra, ma peccato e onta
guadagnerà, per sé tanto più grave,
quanto più lieve simil danno conta. 78
L’altro, che già uscì preso di nave,
veggio vender sua figlia e patteggiarne
come fanno i corsar de l’altre schiave. 81
O avarizia, che puoi tu più farne,
poscia c’ha’ il mio sangue a te sì tratto,
che non si cura de la propria carne? 84
Perché men paia il mal futuro e ‘l fatto,
veggio in Alagna intrar lo fiordaliso,
e nel vicario suo Cristo esser catto. 87
Veggiolo un’altra volta esser deriso;
veggio rinovellar l’aceto e ‘l fiele,
e tra vivi ladroni esser anciso. 90
Veggio il novo Pilato sì crudele,
che ciò nol sazia, ma sanza decreto
portar nel Tempio le cupide vele. 93
O Segnor mio, quando sarò io lieto
a veder la vendetta che, nascosa,
fa dolce l’ira tua nel tuo secreto? 96
Ciò ch’io dicea di quell’unica sposa
de lo Spirito Santo e che ti fece
verso me volger per alcuna chiosa, 99
tanto è risposto a tutte nostre prece
quanto ‘l dì dura; ma com’el s’annotta,
contrario suon prendemo in quella vece. 102
Noi repetiam Pigmalion allotta,
cui traditore e ladro e paricida
fece la voglia sua de l’oro ghiotta; 105
e la miseria de l’avaro Mida,
che seguì a la sua dimanda gorda,
per la qual sempre convien che si rida. 108
Del folle Acàn ciascun poi si ricorda,
come furò le spoglie, sì che l’ira
di Iosuè qui par ch’ancor lo morda. 111
Indi accusiam col marito Saffira;
lodiam i calci ch’ebbe Eliodoro;
e in infamia tutto ‘l monte gira 114
Polinestòr ch’ancise Polidoro;
ultimamente ci si grida: "Crasso,
dilci, che ‘l sai: di che sapore è l’oro?". 117
Talor parla l’uno alto e l’altro basso,
secondo l’affezion ch’ad ir ci sprona
ora a maggiore e ora a minor passo: 120
però al ben che ‘l dì ci si ragiona,
dianzi non era io sol; ma qui da presso
non alzava la voce altra persona». 123
Noi eravam partiti già da esso,
e brigavam di soverchiar la strada
tanto quanto al poder n’era permesso, 126
quand’io senti’, come cosa che cada,
tremar lo monte; onde mi prese un gelo
qual prender suol colui ch’a morte vada. 129
Certo non si scoteo sì forte Delo,
pria che Latona in lei facesse ‘l nido
a parturir li due occhi del cielo. 132
Poi cominciò da tutte parti un grido
tal, che ‘l maestro inverso me si feo,
dicendo: «Non dubbiar, mentr’io ti guido». 135
’Gloria in excelsis’ tutti ‘Deo’
dicean, per quel ch’io da’ vicin compresi,
onde intender lo grido si poteo. 138
No’ istavamo immobili e sospesi
come i pastor che prima udir quel canto,
fin che ‘l tremar cessò ed el compiési. 141
Poi ripigliammo nostro cammin santo,
guardando l’ombre che giacean per terra,
tornate già in su l’usato pianto. 144
Nulla ignoranza mai con tanta guerra
mi fé desideroso di sapere,
se la memoria mia in ciò non erra, 147
quanta pareami allor, pensando, avere;
né per la fretta dimandare er’oso,
né per me lì potea cosa vedere: 150
così m’andava timido e pensoso. 151
Canto XX
Contro [una] volontà migliore, [un’altra volontà] combatte male; perciò, per compiacerlo, contro il mio desiderio, trassi dall’acqua la spugna non satura. 3
Mi mossi; e la mia guida si mosse attraverso gli spazi liberi, [tenendosi] sempre rasente la roccia, come si va su[lle] mura [di un castello] vicino ai merli; 6
perchè le anime che sciolgono (=scontano), goccia a goccia, attraverso gli occhi, il male (=la cupidigia) che invade tutto il mondo, dall’altra parte si avvicinano troppo all’orlo [della cornice]. 9
Maledetta sii tu, antica lupa, che più di tutte le altre belve (=gli altri vizi) catturi prede per la tua fame profonda senza fine! 12
O cielo, nel cui movimento sembra che alcuni individuino la causa dei mutamenti di quaggiù, quando verrà [colui] per opera del quale questa (=la lupa) andrà via? 15
Noi andavamo a passi lenti e corti, e io [ero] attento alle ombre, che io udivo piangere e lamentarsi in modo da destare pietà; 18
e casualmente udii davanti a noi invocare «Dolce Maria!», in un pianto [simile] a quello che fa [una] donna che sta per partorire; 21
e proseguire: «Fosti tanto povera, quanto si può vedere da quel luogo che ti ospitò (=dalla stalla) dove deponesti la santa [creatura] che portavi in seno». 24
Successivamente udii: «O valente Fabrizio, volesti possedere virtù con povertà piuttosto che grandi ricchezze con vizio». 27
Queste parole mi erano così piaciute, che mi spinsi più avanti per conoscere quello spirito da cui sembravano [essere] venute. 30
Questo parlava anche della liberalità che usò Niccolò (=San Niccolò) verso [alcune] fanciulle, perchè conducessero [la] loro giovinezza con onestà. 33
Dissi: «O anima che riporti esempi di bontà così grandi, dimmi chi fosti, e perché tu sola ripeti queste nobili azioni degne di lode. 36
Le tue parole non saranno (=rimarranno) senza ricompensa, se è vero che io tornerò [sulla terra] a compiere il breve cammino di quella vita che vola verso il termine». 39
Ed egli: «Io ti risponderò, non perchè io attenda di là (=sulla terra) preghiere e opere buone, ma perchè in te risplende tanta grazia [divina], prima che [tu] sia morto. 42
Io fui [la] radice (=il capostipite) della pianta (=stirpe) malvagia (=i Capetingi) che fa ombra (=nuoce) a tutta la terra cristiana (=a tutta la cristianità), così che raramente se ne coglie [un] frutto buono. 45
Ma se [le città di] Douai, Lilla, Gand e Bruges potessero, presto avverrebbe [la] vendetta; e io la chiedo a colui che giudica tutto (=a Dio). 48
Di là (=sulla terra) fui chiamato Ugo Capeto; da me sono nati i Filippi e i Luigi, dai quali ultimamente è governata [la] Francia. 51
Io fui figlio di un beccaio (=macellaio e commerciante di carni) di Parigi; quando i re antichi (=dell’antica dinastia carolingia) si estinsero tutti, tranne uno che vestì l’abito monacale, 54
mi trovai strette nelle mani le redini del governo del regno, e [mi trovai] tanta potenza di nuove ricchezze, e tanto numero di fautori, 57
che alla corona vacante fu destinata la testa di mio figlio, [a partire] dal quale cominciarono [ad essere] consacrate le ossa di costoro. 60
Finchè la grande dote [della contea] di Provenza non tolse ogni pudore alla mia discendenza, [questa] valeva poco, ma almeno non praticava il male. 63
Da quel momento [la mia discendenza] cominciò la sua [opera di] rapina con [la] violenza e con [l’] inganno; e poi, per [fare] ammenda, conquistò Ponthieu e [la] Normandia e [la] Guascogna. 66
Carlo [d’Angiò] venne in Italia e, per [fare] ammenda, fece uccidere Corradino [di Svevia]; poi, [sempre] per [fare] ammenda, fece risalire al cielo Tommaso [d’Aquino]. 69
Io vedo [un] tempo, non molto lontano da oggi, in cui un altro Carlo (=Carlo di Valois) esce fuori da[lla] Francia, per far conoscere meglio sè e i suoi (=la sua stirpe). 72
Ne esce senza armi e solo con la lancia (=con la frode) con la quale aveva combattuto Giuda, e punta quella così da far scoppiare il ventre a Firenze. 75
Da ciò non guadagnerà terre, ma peccato e vergogna, per lui [cosa] tanto più grave, quanto più [egli] considera lieve [un] simile danno (=peccato e vergogna). 78
Vedo l’altro (=Carlo II d’Angiò), che qualche tempo fa uscì [già] prigioniero da[lla sua] nave, vendere sua figlia (=Beatrice) e patteggiarla come i corsari fanno con le figlie degli altri ridotte schiave. 81
O avarizia (=cupidigia), che altro puoi farci, dal momento che hai attratto a te la mia stirpe, a tal punto che non si cura della propria carne (=dei propri figli)? 84
Perchè appaia minore il male futuro e quello [che è stato] fatto, vedo entrare in Anagni il giglio [di Francia], e Cristo essere catturato nel[la figura del] suo vicario (=il papa Bonifacio VIII). 87
Lo vedo essere deriso un’altra volta; vedo rinnovarsi l’aceto e il fiele, e [lo vedo] essere ucciso tra ladroni [rimasti] vivi (=Filippo di Nogaret e Sciarra Colonna). 90
Vedo il nuovo Pilato (=Filippo il Bello) così crudele che ciò non lo sazia, ma [lo vedo] spingere arbitrariamente le vele bramose nel Tempio, (=volgere la sua cupidigia contro i Templari). 93
O Signore mio, quando io potrò allietarmi ne[l] vedere il giusto castigo che, nascosto [agli uomini], addolcisce la tua ira nel tuo segreto [consiglio]? 96
Ciò che io dicevo di quell’unica sposa dello Spirito Santo (=di Maria) e che ti fece volgere verso [di] me per [averne] qualche spiegazione, 99
è responsorio a tutte [le] nostre preghiere per tanto [tempo] quanto dura il giorno; ma quando si fa notte, al loro posto proninciamo [esempi] di significato contrario. 102
Noi allora rievochiamo [l’esempio di] Pigmalione, che l’avida bramosia dell’oro rese traditore e ladro e uccisore di congiunti; 105
e [rievochiamo] la miserevole sorte dell’avido Mida, conseguenza della sua ingorda richiesta, per la quale è sempre necessario che si rida [di lui]. 108
Ciascuno poi si ricorda del folle Acàn, di come rubò il bottino, tanto che qui sembra che l’ira di Giosuè lo colpisca ancora. 111
Poi accusiamo Saffira col marito; lodiamo i calci che Eliodoro ricevette; e per infamia fa il giro di tutto il monte 114
[l’esempio di] Polinestore che uccise Polidoro; infine, qui si grida: "Crasso, diccelo che lo sai: di che sapore è l’oro?”. 117
Talora uno [di noi] parla a voce alta e un altro a voce bassa, a seconda del sentimento che ci sprona a incedere [nella corsa canora] ora a passo più svelto e ora più lento: 120
perciò poco fa non ero io solo a [ricordare] gli esempi virtuosi che qui si dicono di giorno; ma qui vicino [nessun] altro alzava la voce». 123
Noi ci eravamo già allontanati da lui, e ci davamo briga di avanzare sulla strada tanto quanto ci era consentito, 126
quando io sentii tremare il monte, come qualcosa che cada; per cui mi assalì un gelo che solitamente prende colui che va al supplizio. 129
Certo [l’isola di] Delo non fu scossa così violentemente, prima che Latona facesse in essa il nido (=la scegliesse come rifugio) per partorire i due occhi (=astri) del cielo (=Apollo e Diana: il sole e la luna). 132
Poi cominciò da tutte le parti un grido tale, che il maestro si avvicinò a me, dicendo: «Non temere, finchè io ti guido». 135
’Gloria in excelsis Deo’ (=’Gloria a Dio nel più alto dei cieli’ ) dicevano tutti, per quel che io compresi dai vicini (=dalle anime vicine), dai quali si potè intendere il grido [collettivo]. 138
Noi stavamo immobili ed esitanti come i pastori (=i pastori di Betlemme) che udirono quel canto per la prima volta, finchè il terremoto cessò e quello (=il canto) si concluse. 141
Poi riprendemmo [il] nostro cammino santo, guardando le ombre che giacevano a terra, già tornate all’abituale pianto. 144
Se la mia memoria non erra in ciò, nessuna ignoranza mi rese mai desideroso di sapere, con tanto tormento, 147
quanto mi pareva allora di aver[ne], pensando [alle ragioni del terremoto e del canto]; nè, per la fretta osavo domandare, nè da solo potevo vedere qualcosa in quei fatti; 150
così procedevo timoroso e pensieroso. 151